L’ALLENAMENTO MENTALE DELL’ALLENATORE
Case History: intervista all’allenatrice di softball Maristella Perizzolo
di Aurora Puccio
In questo biglietto ci sono tre parole per me fondamentali: Gratitudine, Dedizione e Rispetto. Lo consegnavo alle giovani e poi spiegavo cosa significassero per me.
Maristella Perizzolo allenatrice softball
Il significato di queste parole lo troverai a conclusione di questa intervista che rappresenterà per te che lo leggerai un allenamento mentale 🙂
Adesso concentrati… che si parte!
L’ALLENAMENTO MENTALE DELL’ALLENATORE
L’allenamento mentale dell’allenatore è sottovalutato perché si considera che solo gli atleti abbiano la responsabilità di restare concentrati per tutta la partita. E l’allenatore? Non ha pure lui una partita da giocare? Deve pensare alla strategia, alle sostituzioni, a gestire gli imprevisti, la pressione e a motivare i propri giocatori. Se non è capace di restare lucido, dando il giusto esempio, è soggetto a sbagliare come tutti.
Le partite non si perdono solo perché l’atleta ha commesso un errore. Le partite si perdono anche perché l’allenatore non ha fatto la mossa opportuna al momento giusto. Eppure questo ruolo si esclude sempre dal problema perché si crede sia di competenza solo dei propri atleti. Nonostante si escluda l’incisività dell’errore commesso da un allenatore è essenziale sottolineare che, anche quest’ultimo e le sue decisioni, hanno un ruolo chiave per lo sviluppo della partita.
Quella che stai per leggere è un Case History con l’allenatrice di softball Maristella Perizzolo che ha deciso di mettersi in discussione per essere più performante e utile per i propri atleti dando a quest’ultimi uguale opportunità. Al termine di questa intervista troverai anche un audio tratto dalla rubrica CnTalks della Federazione Baseball Softball organizzato dal CNT ( comitato nazionale tecnici) dove nello specifico l’allenatrice Maristella Perizzolo, tra i temi trattati, ha argomentato anche l’esperienza di questa collaborazione con ulteriori dettagli.
INTRODUZIONE: L’INCONTRO
Il giorno che ho conosciuto l’allenatrice Maristella Perizzolo ero sui campi di softball, vestendo i panni dell’arbitro. Il softball è uno sport che amo e ho praticato per oltre 25 anni, come giocatrice e allenatrice, ricoprendo infine il ruolo dell’arbitro. Maristella invece stava allenando una squadra giovanile piemontese Under 16, che stava disputando il campionato Seniores di serie B, giocando fuori classifica solo per fare esperienza.
Nata a Torino dove gioca per tanti anni ad alti livelli terminata la carriera d’atleta si dedica al ruolo di allenatore. Inizia ad allenare le giovanili, vincendo uno scudetto nel 2016 con il Saronno Softball categoria Under 16. Con la stessa società fa l’esperienza come assistant coach affiancando il manager venezuelano Larry Castro alla guida della squadra che milita in A1. Per due volte nominata miglior coach dell’anno, da tre anni è Coach della Nazionale Under 15.
Per deformazione professionale oltre ad arbitrare ho sempre osservato le squadre in campo anche dal punto di vista dell’atteggiamento mentale sia da parte dell’allenatore che della squadra. E per la prima volta ho notato ciò che mi piace vedere in ogni disciplina: atlete felici di giocare, di essere in campo e con la voglia di vincere. Ho visto squadre fortissime vincere con atlete che non si divertivano per niente. Non sempre questi stati d’animo coincidono, e questo potrebbe essere un primo punto su cui riflettere.
La squadra che stavo osservando si divertiva. Le atlete erano rispettose degli avversari e dell’arbitro, seguivano le consegne dell’allenatrice che interveniva nel caso qualche giocatrice non si stesse comportando in modo adeguato.
I consigli di cui stiamo parlando sono si tecnici, ma soprattutto comportamentali, a dimostrazione della grande importanza del suo ruolo anche di educatore e formatore. Gli allenatori infatti dovrebbero tenere sempre a mente che oltre ad essere tecnici hanno la responsabilità di forgiare il carattere del futuro atleta trasmettendo loro i valori dello sport.
LA FIDUCIA NEGLI ATLETI
Soprattutto mi colpì la totale fiducia nelle sue atlete; le lasciava provare schemi difficili anche su un punteggio stretto, spronandole ad osare, insegnando loro a prendere decisioni in autonomia. Uno stile che col tempo aumenta la sicurezza nell’atleta delle proprie capacità.
Una cosa ad esempio che accade in questo sport e che ho visto anche in altre discipline, è la continua interferenza dell’allenatore che dalla panchina manda dei segnali sulla strategia, privando l’atleta dell’esperienza necessaria per poter un giorno essere capace di decidere da solo cosa fare.
Alle volte succedono delle cose in campo che durano una frazione di secondo e non sempre si ha il tempo di prendere i comandi dell’allenatore.
Andrea Giani, ex giocatore di pallavolo appartenuto a quella generazione di fenomeni che ha vinto tutto e oggi allenatore, in questa intervista da me effettuata qualche tempo fa che trovi qui, l’approccio mentale dell’allenatore diceva proprio questo:
“[…]dico che in partita l’allenatore conta zero. Perché tu li hai preparati alle situazioni che si troveranno in campo e a risolverle da soli. Le info che si danno ai giocatori devono essere poche perché il gioco è velocissimo. Ci sono allenatori che ti dicono tutto quello che devi fare e soffocano la loro creatività. La partita non è solo il risultato della tattica. La partita è frutto anche della capacità dei giocatori di risolvere le situazioni in modo autonomo.“
Nel gioco del softball questo approccio nell’ interferire è esasperata perché il gioco comincia con un lancio e ad ogni lancio c’è una strategia che il ricevitore, ruolo appunto che riceve il lancio dal lanciatore, deve mettere in pratica su ogni singolo battitore.
In sostanza molti allenatori, preoccupati di far rispettare la propria strategia, non lasciano mai margine di creatività ai propri atleti con il risultato che diventano dei robot incapaci poi di prendere decisioni nei momenti difficili. Semplicemente perché non sono mentalmente abituati a farlo. Si tratta di un problema, sottolineo ancora, che ho riscontrato in tutte le discipline e anche a scuola perché si tratta proprio di un approccio dell’adulto con la tendenza di avere tutto sotto controllo per timore che l’atleta commetta errori.
Purtroppo però si impara sbagliando e non eseguendo le cose giuste di cui si è totalmente inconsapevoli.
Raramente, nel ruolo di arbitro, mi è successo dai fare complimenti a un allenatore. Però ho intuito la grande fatica sostenuta da questa allenatrice per formare le giovani atlete al di là della tecnica, dove la maggior parte degli allenatori guardano solo al risultato, senza preoccuparsi dei propri giocatori come persone e mi sono sentita di farlo. Considerata da sempre un’allenatrice fuori dagli schemi si è sentita compresa e sorpresa allo stesso tempo. Non era consapevole quanto dall’esterno fosse visibile il suo lavoro, il suo intento nel formare le atlete a 360 gradi per ottenere risultati duraturi nel tempo.
LA SCELTA DEL MENTAL COACH
Ho sempre pensato che i migliori allenatori sono quelli delle giovanili. Poco ricordati negli anni ma mai dimenticati dai propri atleti, sono quelli che hanno il compito più difficile: accendere la fiammella della passione per il proprio sport che guiderà l’atleta fino alla fine della sua carriera. In genere devono essere i più preparati e avere l’attitudine ad allenare i giovani. Infatti non tutti possono farlo. Possono essere anche bravi tecnicamente ma se non sanno entrare in empatia con un giovane atleta
E così con stima reciproca ci siamo incontrate più volte sui campi rispettose dei propri ruoli, fino a quando appesa definitivamente la maschera al chiodo (ndr protezione obbligatoria e distintiva dell’arbitro in questo sport) mi chiama per collaborare con lei nello staff tecnico di serie A2 Jacks Torino, dove ricopriva il ruolo di Head Coach. Due stagioni intense iniziata nel 2017 e conclusasi nel 2019.
La motivazione di questa scelta è da lei così descritta:
«Sono ancora un allenatore giovane. Non alleno da tantissimi anni. Ho un bagaglio di esperienza che mi porto dietro da ex giocatrice: alle volte mi facilita il compito. Altre volte no. Penso che qualsiasi allenatore non possa essere un tuttologo. Di sicuro occorre essere curiosi, documentarsi sapere di tutto un po’ per non fare dei danni con le proprie atlete. Non possiamo pretendere però in quanto allenatori di essere anche preparatori atletici, nutrizionisti e mental coach. È vero che vista la situazione delle società sportive è richiesta più competenza perché non sempre è fattibile integrare nel proprio organico queste figure. Pertanto per quanto possibile, penso che per fare un buon lavoro, sia necessario circondarsi di persone che abbiano competenze specifiche, perché se ognuno di noi sa fare una cosa bene, la fa’ al meglio. Saperne fare tante ma in modo approssimativo serve a poco.
Per questa ragione ho deciso di farmi affiancare da un mental coach per due stagioni, per la parte della performance strategico mentale, e del preparatore atletico per quella fisica.»
Qual è stato il vantaggio che hai tratto da questa collaborazione?
«Intanto la competizione mentale è un aspetto che da sempre mi affascina e non riguarda solo gli atleti. Riguarda anche noi allenatori. Mi ha arricchito come persona perché ho notato delle cose da punti di vista differenti a cui non prestavo attenzione. Il continuo dialogo che ho avuto con te Aurora mi ha aiutato a non trascurare dettagli importanti che mi hanno costretto a uscire dalla mia zona di comfort per mettermi alla prova.»
ESEMPI PRATICI
Mi faresti un esempio in dettaglio?
«Ho sempre pensato di essere un allenatore che si soffermava molto sull’aspetto mentale mentre con te ho scoperto che non lo coltivavo come credevo. Ad esempio quando abbiamo parlato di inserire all’interno delle sessioni di allenamento tecnico degli esercizi mentali associati. Prima non lo applicavo in modo regolare. Dopo è diventata una buona consuetudine consapevole. Partendo da una struttura su base tecnica e rielaborandola successivamente con la chiave mentale chiedendomi: “Ok, adesso che ho la sessione tecnica come posso inserirgli l’aspetto mentale?” E a secondo del tipo di avversario da incontrare calibravo la sessione in questa direzione.»
Hai messo in pratica un’integrazione tecnica-mentale… principio sul quale si base il mio metodo “Accendi la mente Illumina la performance®” quindi un allenamento mentale pratico è possibile…
«Vedi, il softball è uno sport che si gioca per periodi brevi durante l’estate, supportato da una grande quantità di allenamento invernale dove gli atleti sentono di fare delle buone performance.
Poi iniziano le competizioni e succede il patatrac. Magari abbiamo lavorato bene tecnicamente e mentalmente no. Faccio un esempio tecnico comprensibile anche per chi non pratica questa disciplina.
Nel softball la battuta è un momento molto particolare dal punto di vista della tensione perché il battitore è solo contro tutta la difesa. Ci sono alcune situazioni di gioco dove la pressione sale ancora di più perché la sua prestazione potrebbe risultare determinante per la partita.
Durante l’allenamento della battuta magari si lavora sulla quantità, ad esempio 50 palline.
Nella partita sono solo 3 le possibilità di battere una pallina con efficacia.
Se io durante l’allenamento non alleno mai le mie atlete a quel tipo di pressione, durante la partita non saranno pronte.»
In sostanza hai creato delle simulazioni?
«Si. Ovviamente la battuta è solo un esempio. Per quanto possibile occorre ricreare in allenamento le situazioni che si pensa di ritrovare in partita, non solo dal punto di vista strategico e tattico ma anche mentale. Un po’ come il processo della visualizzazione che ti permette di vivere in anteprima la partita che andrai a giocare come se fosse un’esperienza già vissuta.
Questo mi ha portato anche a fare delle modifiche sul line-up, l’ordine con il quale i battitori si avvicendano nel box di battuta, dopo che mi hai condiviso gli aspetti mentali osservati durante le partite per sistemare le atlete in una posizione più efficace che tenesse conto non soltanto della forza in battuta, o delle statistiche, ma anche dell’abilità mentale con la quale la giocatrice era capace di reggere a determinate pressioni. Il line-up non era più standardizzato. Statico. È diventato dinamico cambiando anche in base alla squadra avversaria e al tipo di strategia che intendevo mettere in atto.»
Un altro esempio pratico?
«Con presunzione non consideravo ad esempio, l’importanza di prepararmi l’elenco delle cose fare, il copione come lo chiami tu; appuntandomi le strategie da usare in determinate situazioni ovviamente mantenendo una certa flessibilità. Questo mi ha aiutato moltissimo perché anche io, come le atlete, durante la partita sono sotto pressione e rischio di perdere lucidità. Il copione è una traccia dove si prevedono possibili situazioni restando aperti agli imprevisti. Penso che la bravura di un allenatore si veda nel momento in cui è capace, sotto pressione, di trovare soluzioni per risolverli»
C’è stata una partita dove sono tangibili gli effetti di questa collaborazione ovviamente visibili all’interno perché all’esterno ancora difficilmente si ha l’abilità di andare oltre all’evidenza del risultato: si vince o si perde ma ci sono anche dei risultati “non visibili” di altra natura?
«Penso sia un risultato difficile da misurare. Per questo esiste tanto scetticismo intorno alla figura del mental coach. In questo noi italiani non siamo ancora pronti rispetto ad altri Paesi dove da anni vengono utilizzati.
Mi sono confrontata con colleghi anche di altre discipline, i quali condividono l’importanza dell’aspetto mentale, tuttavia nelle sessioni di allenamento è la parte che tutti trascuriamo di più.»
Aggiungo che per esperienza, spesso questo tipo di percorso è delegato alla singola iniziativa privata dell’atleta sia di sport individuali che di squadra, che sceglie di fare questo percorso privatamente e senza condividerlo con l’allenatore perché ha paura di essere giudicato. Di non essere compreso.
IL RISULTATO
«Per rispondere alla tua domanda penso ci siano stati miglioramenti a livello di squadra, la cosa difficile del lavoro mentale, in questo ambito, credo sia appunto lavorare come gruppo rispetto al lavoro one to one dove si può entrare più nello specifico. E come far funzionare un’orchestra. Tutti ci devono credere. Tutti si devono impegnare. Ci sono atleti che si affidano e si applicano. Altri no.
L’aspetto mentale è come la tecnica: se devo migliorare il mio swing in battuta, o qualsiasi altro fondamentale tipico di ogni disciplina, devo battere 100 palline al giorno. Se io mi aspetto che il mio approccio mentale migliori semplicemente schioccando le dita, non funziona. Se a un atleta viene chiesto di fare la visualizzazione non è che si fa solo prima della partita o la sera prima. La visualizzazione è un esercizio mentale che va allenato sempre.» (ndr a tal proposito puoi ascoltare l’audio storia “Il golfista prigioniero”)
Per quanto riguarda le partite, alcune sono state vinte proprio sull’aspetto mentale. Altre perse perché siamo state noi a sbagliare su questo fondamentale. Il perdere ci ha costrette a concentrarci sui punti da migliorare.»
Come quello che dice l’ex tennista oggi allenatore di Tennis Brad Gilbert nel suo libro Vincere sporco la guerra mentale che consiglio di leggere a prescindere dal tennis perché è interessante il ragionamento che fa Brad Gilbert per battere i suoi avversari più quotati di lui vincendo partite che sulla carta avrebbe dovuto perdere. Qui c’è l’audio storia che entra nello specifico su questo tema: la guerra mentale
La decisione di farti affiancare da un mental coach è stata una novità e come tutte le cose nuove ci sono state persone che hanno apprezzato altri che hanno visto con scetticismo questa scelta. Ricordo ancora un aneddoto raccontato da un ex nazionale pallavolo maschile degli anni ‘70. Mi raccontava che ai tempi non esisteva la preparazione atletica. Oggi viene data per scontata. Mi sembra che anche per la preparazione mentale si stia ripetendo la stessa cosa. Perché c’è così tanta resistenza “mentale” per le cose nuove e si preferisce restare nel “conosciuto” ?
«Per quanto riguarda lo scetticismo, credo siano più elementi che ci frenano nel nuovo. Una è la resistenza nell’uscire dalla nostra zona di comfort. La frase tipica è: “Si è sempre fatto così.” Semplicemente perché non c’è la curiosità di sperimentare, di mettersi in gioco, di uscire fuori dagli schemi per paura di fallire.
L’altra componente penso sia la gelosia degli allenatori nei confronti della loro posizione. Quando vai ad inserire una figura nuova all’interno dello staff, l’Head Coach ha sempre un po’ paura che gli venga rubata la scena.
Per spiegarmi meglio esco un attimo fuori dallo sport e uso la metafora della pittura visto che dipingo. Ai corsi quando chiedo a un collega come ha fatto una determinata cosa che mi è piaciuta ho sempre trovato dei muri. Mentre io condivido. Se ti piace come ho dipinto una nuvola, di quella nuvola io ti racconto tutto perché sono sicura che anche se te lo spiego nei minimi dettagli, tu lo filtrerai con la tua esperienza. Quindi anche se rifacciamo un milione di volte quella nuvola non verrà mai la stessa cosa.
Così è anche nello sport. Se io condivido il modo di fare un esercizio tecnico con altri allenatori, loro lo faranno eseguire alle loro atlete, in mille sfumature diverse perché è giusto che sia così.
È la nostra creatività che ci rende unici. La grandezza degli americani nel nostro sport e nella loro mentalità, sta in questo: loro condividono tutto. Non hanno paura. Sul canale youtube si trova di tutto.»
E come hai vissuto quest’esperienza?
«Il mio carattere mi porta ad affrontare le cose che faccio con entusiasmo. Così è stato anche per questa nuova esperienza. Mi sono messa in gioco, cambiando approccio, tentando di vedere le cose da differenti punti di vista, ho provato, ho sbagliato e di volta in volta con il tuo aiuto ho imparato tante cose. La maggior parte delle persone non ha un buon rapporto con le novità, utilizzo un altra volta l’arte come esempio:
Nel passato sono molti i pittori che non sono stati compresi appieno. Peter Van Gogh ha trascorso la propria vita cercando di essere capito e veniva considerato un imbrattatele dalla gente del suo tempo. Oggi possiamo affermare che è uno dei pittori più amati e conosciuti in tutto il mondo. A volte occorre osare… anche rischiando di andare incontro a un fallimento.»
LA MOTIVAZIONE
Cosa ne pensi della motivazione, del saper motivare una squadra, un gruppo. Approfittiamo della nostra collaborazione per spiegare cos’è visto che spesso la mia figura viene “confusa” con quella del motivatore invece…
«Da allenatore mi è capitato spesso di sentirmi dire che le ragazze non erano state motivate abbastanza o viceversa ricevere complimenti per esserci riuscita in una situazione difficile.
C’è una parte di verità: se un allenatore è capace di toccare determinate corde dei suoi atleti, è vero riesce a ottenere risultati migliori. Ma se non c’è terreno fertile, il nostro seme va a finire nel deserto.
Di base un atleta che si approccia a qualsiasi disciplina, deve avere in sé la voglia, la motivazione di fare bene. L’allenatore può aiutare stabilendo un obiettivo da raggiungere, però la spinta a migliorarsi parte da dentro.
Io amo allenare le giovanili e mi rendo conto che a un certo punto sono loro a richiedere di alzare l’asticella. Vogliono di più.»
RIEPILOGO: MOTIVARE E ALLENARE LA MENTE…SONO DUE COSE DIVERSE
Riepilogando la funzione del motivatore durante la partita e gli allenamenti è di competenza dell’allenatore tecnico e sempre con delle limitazioni perché non può motivare un atleta disinteressato a raggiungere un obiettivo. Suo principale compito è conoscere talmente bene ogni singolo giocatore da essere capace con rapidità a toccare la leva giusta per motivarlo.
Invece può succedere che un atleta pur coltivando una forte motivazione, lungo il percorso per arrivare in cima alla montagna, possa perdere l’energia necessaria o non possedere gli strumenti giusti. Oppure non sia consapevole delle sue reali potenzialità o sia mentalmente bloccato a eseguire determinati gesti tecnici.
In questi casi un supporto esterno nel ruolo di facilitatore, come ad esempio può esserlo un mental coach, gli permette di prendere consapevolezza delle sue risorse, di allenare delle competenze o abilità mentali pratiche utili al suo obiettivo.
Motivare e allenare la mente….sono due cose diverse! 🙂
Hai un sogno nel cassetto?
«Il mio sogno è vedere una cultura dello sport crescere in Italia come all’estero. Vorrei vedere lo sport come parte integrante del processo educativo, in questo momento invece è tutto delegato all’iniziativa delle famiglie.»
CONCLUSIONE: LE TRE PAROLE MAGICHE – GRATITUDINE, RISPETTO E DEDIZIONE
A conclusione di questa intervista c’è un passaggio che mi ha colpito molto e che a mio parere esprime al meglio cosa dovrebbe essere lo sport sia per l’allenatore che per l’atleta.
Infatti l’Head Coach Maristella Perizzolo che oggi è passata alla nuova società Rebels di Avigliana, dove cura il settore giovanile e ancora le seniores di Serie A2, mi racconta che durante la quarantena mentre cercava di buttare via oggetti datatati, ha ritrovato un biglietto da lei scritto e che aveva dimenticato da tempo.
Il biglietto in questione è quello che l’allenatrice usava consegnare alle nuove giovani atlete entrate da poco in squadra e che conteneva tre semplici parole. Maristella mi racconta così:
«In questo biglietto ci sono tre parole per me fondamentali: Gratitudine, Dedizione e Rispetto. Lo consegnavo alle giovani e poi spiegavo cosa significassero per me.
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Gratitudine nei confronti della vostra società, che vi consente di essere qui, mette a disposizione un campo e le attrezzature per giocare. Gratitudine per il tempo che vi dedicano i vostri allenatori e per le persone che mettono a posto il campo, tirando con il rastrello la terra rossa dove voi prendete le palline. Se non ve ne prendete qualcuna in faccia è anche grazie al loro lavoro. Gratitudine per i vostri genitori che vi portano al campo e vi seguono durante le partite.
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Rispetto per le nostre avversarie. Rispetto per l’arbitro. Rispetto per le attrezzature (non puoi tirare il caschetto per aria perché sei arrabbiato). Rispetto per le compagne di squadra.
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Dedizione è quella che dovresti avere quando fai qualsiasi cosa. Quando alleno mi “dedico” alle mie atlete, e metto tutta la passione che ho nel farlo. E così mi piace pensare che anche le atlete si dedichino allo sport in modo da trascorrere del tempo di qualità. Fa bene a tutti. Aiuta a cementare il gruppo. A volersi bene. A essere Amici.
Mi trovo d’accordo con queste parole tutte importanti ma ce n’è una in particolare che a livello mentale ha una potenza straordinaria e viene poco usata: la gratitudine.
Attenzione: la gratitudine espressa non solo con le parole che sono il mezzo attraverso il quale la mente comunica e pertanto sono solo “mentali” e godono di scarsa affidabilità.
La gratitudine alla quale mi riferisco è quella espressa con la frequenza energetica del cuore. Una gratitudine davvero sentita nel profondo ha un enorme potenziale rispetto a quella detta per formalità. Molte persone se ne dimenticano e non sono consapevoli che il non dirlo, nella modalità appena descritta, è un delitto che commettono prima di tutto nei confronti di sé stesse.
Ringrazio di cuore l’Head Coach Maristella Perizzolo per la disponibilità a rilasciare quest’intervista e per il suo essere un’allenatrice attenta alla persona oltre che all’atleta
Per un ulteriore approfondimento puoi ascoltare l’audio (durata 8 minuti) del workshop organizzato dal CNT FIBS dove l’allenatrice nello specifico ha illustrato questa collaborazione (fonte Fonte audio CNTalks, conversazioni sul baseball e sul softball CNT FIBS Federazione italiana baseball e softball)
Buon allenamento
Aurora
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LIBRO E FILM CONSIGLIATO
(Foto archivio personale Maristella Perizzolo. Fotografo Fabio Cecchin e Alessandro Bandini)
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