Come scoprire e allenare il talento nella musica e nello sport
“Noi diventiamo nella nostra vita ciò che sappiamo fare meglio, quello che facciamo con più passione, con più voglia! ” – Alfredo Sorichetti Direttore d’Orchestra
Musica, Sport, Business, Teatro, Danza e potrei continuare all’infinito. La domanda è:
Cosa hanno in comune tutti questi contesti in apparenza diversi ma in realtà simili tra loro?
Siamo allenati mentalmente a considerare le cose separate quando in realtà tutte fanno parte di una cosa sola espressa con modalità tecniche differenti.
Considero lo sport una grande metafora della vita. Ma non è l’unica. Si intreccia molto bene con altre forme artistiche.
Seguendo il mio blog ti sarai accorto come spesso uso appositamente connessioni con altri mondi fuori dallo sport, per portare la mente lontano dal tuo contesto. Lo considero per te e anche per me un allenamento mentale. Come viceversa invito, a chi di sport non interessa quasi nulla, di leggere comunque questi articoli in prevalenza sportivi perché in un modo o nell’altro c’è sempre una condizione/situazione di vita in cui è facile rispecchiarsi, e che quindi può essere fonte di ispirazione. Non ci vuole molto. Basta avere una mentalità aperta e curiosa.
Se ogni tanto alla tua mente non gli fai respirare un’aria diversa dal solito è impossibile sfruttare le sue potenzialità al massimo. Spesso le risposte si trovano lontane dai luoghi dove ti ostini a cercarle.
Solo per farti un esempio concreto, prendiamo uno sport a caso: il calcio. Ma potrebbe trattarsi di qualsiasi altra disciplina o forma d’arte. Immagina per un attimo di essere in questo settore non importa in che ruolo (allenatore, atleta, presidente ecc). Giustamente cosa farai? Leggerai libri e biografie solo sul calcio. Andrai a presentazioni tecniche e mentali che parlano… di calcio. Ti confronterai con altre persone che parlano solo e sempre di calcio. Nulla in contrario a tutto questo. Ma la tua mente è ormai satura sull’argomento. Poi magari hai problemi di squadra, di concentrazione, di motivazione. Se sei un allenatore non sai come allenare il talento dei tuoi atleti o come relazionarti con loro. A sua volta l’atleta non è consapevole delle sue potenzialità. Se invece apri la tua mente a nuovi orizzonti e ti confronti con mondi lontani dai tuoi, ti sorprenderai della velocità con cui troverai nuove soluzioni e di quante cose puoi diventare consapevole.
Allenamento mentale fuori… dalla zona di comfort
Per questo motivo oggi ti porto completamente fuori dalla tua zona di comfort riportandoti ancora una volta a Teatro, come già fatto in precedenza in alcuni dei miei articoli. Stavolta anziché la prosa andremo ad esplorare un’altra area artistica, di cui sono altrettanto appassionata: la musica classica.
Adesso hai due possibilità: ho abbandonare subito la pagina e dedicarti alla tua amata passione calcistica o altro che farai nella vita, oppure superare la resistenza mentale che probabilmente in questo momento ti sta suggerendo la frase: “ma cosa avrò mai da imparare dal mondo della musica classica?” e darla vinta ancora una volta alla tua mente. Tu non lo sai, ma di fatto lei ti controlla e fa quello che vuole. Di certo c’è un rischio che devi correre. E se alla fine non avrai imparato nulla? E se poi invece in questa storia che sto per raccontarti c’è un messaggio per te? Anche saper rischiare…è un allenamento mentale. Alla fine cosa hai da perdere? Il tempo mi potresti rispondere… ma in ogni caso avrai imparato qualcosa come ad esempio non frequentare più questo blog. Ovviamente mi auguro che non sia così. Come vedi c’è sempre qualcosa da imparare:-)
Ti anticipo alcuni temi che saranno trattati in questa storia musicale:
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Come scoprire il proprio talento
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Come allenare il talento personale e quello degli altri
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Come allenare la propria motivazione
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La tecnica della visualizzazione
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L’approccio mentale del direttore d’orchestra
- Sport vs Musica
Storia di un talento, un sogno e un’emozione
La storia che sto per raccontarti è quella del Maestro Direttore d’Orchestra, Alfredo Sorichetti, nato a Civitanova Marche che da bambino, chiuso nel buio della sua stanza, amava ascoltare il concerto per pianoforte di Čajkovskij e la quinta Sinfonia di Beethoven. Immaginava un giorno di essere lì su quel podio a dirigere una vera orchestra per ora ricreata solo all’interno della sua mente. Il padre, vista la passione del figlio, registrava tutti i concerti della TV trasmessi in tarda serata e Alfredo li guardava al mattino. Poi correva a chiudersi nella sua stanza e ripeteva la gestualità del direttore dirigendo con passione ed emozione un’orchestra che di fatto esisteva nel suo immaginario. Aveva solo 10 anni. Ma era attratto da questa energia che incredibilmente passa dal Direttore alla sua orchestra.
Il Maestro racconta: «Più immaginavo questa scena più chiedevo all’Universo di poter realizzare il mio sogno: essere un giorno Direttore d’Orchestra. Mio padre capiva il desiderio ma oggettivamente nella mia città non esisteva questa possibilità. Però mi disse che avrei potuto studiare il pianoforte. Almeno avrei imparato a suonare.»
Venti minuti… la prima occasione
Alfredo si scrive al conservatorio e si laurea in pianoforte quando un giorno arriva la sua prima grande occasione. In realtà se la crea da solo. Il direttore del conservatorio gli propone una settimana di prove per un’opera lirica così può cominciare a fare esperienza come pianista. Non era previsto quindi nessun cachet. Alfredo pensa quindi di volgere quest’occasione in suo favore con una contro-proposta e gli risponde:
«Va bene. Verrò alle prove a suonare il pianoforte gratuitamente. In cambio però mi dia la possibilità di dirigere l’orchestra soltanto per venti minuti.» Stupito dalla richiesta il direttore rispose:
«Alfredo… ma tu sai dirigere un’orchestra? Hai mai diretto un’orchestra prima d’ora?
«Certo!» Fu la sua risposta, mostrando una tale sicurezza da convincere il direttore ad accettare lo scambio.
Il giovane musicista, tutto contento per la grande occasione, acquista la sua prima bacchetta e un manuale per direttori d’orchestra. Si rese conto che dal punto di vista tecnico non sapeva assolutamente nulla. Gli occorreva quanto meno apprendere le basi fondamentali. Capire come funzionavano tanti strumenti messi insieme.
Ma non aveva paura. Con orgoglio e determinazione si presenta alle prove. Svolge il compito per il quale era stato chiamato quando a un certo punto, il direttore del conservatorio gli dice:
«Alfredo tieniti pronto che fra poco tocca a te. Ti raccomando però, non più di venti minuti.»
Arriva il suo momento. Si prepara. Allunga la mano per salutare il primo violino: un gesto compiuto con consuetudine per salutare tutti i musicisti. Nota però che lo guardano in modo strano. Come se si domandassero cosa stesse accadendo e come mai un perfetto sconosciuto si fosse presentato davanti a loro… con la bacchetta.
Alfredo racconta: « Per niente intimorito mi metto in posizione pronto per cominciare. In realtà non sapevo come far partire un’orchestra. Non era mica facile. Cosa potevo fare? Allora mi sono ricordato di ricordare a me stesso l’emozione. Esattamente quell’emozione provata da bambino quando avvolto dal buio della mia stanza, sognavo un giorno di diventare direttore d’orchestra.
Così chiusi gli occhi e cominciai a dirigere. Quei venti minuti furono straordinari. Ritrovai me stesso da bambino. »
La strada giusta
L’orchestra al termine dell’esibizione applaudì. Gli archetti dei violini picchiavano sui leggii in segno di approvazione da parte dei musicisti. Fu un tale successo che l’orchestra non voleva più suonare l’opera con il maestro titolare ma con quel giovane sconosciuto. Si rinchiusero in una stanza per ore a discuterne. Alla fine ovviamente toccò al titolare. C’era un contratto da rispettare. Ma non importa. Per Alfredo fu comunque un grande successo. Aveva capito che quella era la strada giusta. Era la sua strada. Si impegnò in questa direzione cominciando a studiare specificatamente per questo ruolo. Si laureò quando arrivò la seconda grande occasione.
«Fui ammesso a un concorso internazionale per giovani direttori d’orchestra. Superate le prime due prove al pianoforte, arrivai alla terza: quella con l’orchestra composta da circa 70 elementi. Come al solito arrivai davanti al podio, strinsi la mano al primo violino, e notai come stavolta mi guardavano con un certo rispetto. Assunsi la mia posizione. E prima di cominciare ricordai a me stesso di ricordare l’emozione. Quella… emozione!
Chiusi quindi gli occhi e cominciai a dirigere grazie anche alla mia emozione. Finita l’esecuzione, l’orchestra mi applaudì e mi chiesero come avessi fatto a dirigere come se il suono fosse uscito direttamente da un disco. E io risposi: “Non lo so. Ho solo chiuso gli occhi e ho diretto.” Mentivo. In realtà sapevo benissimo che avevo aggiunto l’emozione. »
Come scoprire il proprio talento
Questi due episodi importanti, nella carriera musicale del Maestro Sorichetti, mi permettono di introdurre l’argomento del talento e approfondire quale sia l’ingrediente segreto descritto dallo stesso Maestro.
«Nella prima occasione il maestro titolare aveva diretto in modo impeccabile con tutta la sua esperienza, conoscenza tecnica, ma di routine. Io non avevo tecnica ma avevo diretto meglio perché avevo messo qualcosa in più: la passione e soprattutto l’emozione. Esattamente quella… emozione provata da bambino. In quel momento mentre dirigevo a occhi chiusi stavo chiedendo all’Universo di poter un giorno fare quel lavoro, di realizzare il mio più grande sogno: diventare un direttore d’orchestra. Quindi stavo dirigendo con una quantità di energia enorme.
Ma come si fa a scoprire il proprio talento? È quello dove mettiamo più passione, più energia. Quello cui teniamo e tende verso il sogno della nostra vita. Ognuno ha il suo.
Io avevo scoperto il mio talento seguendo la mia passione per la musica e poi l’ho messo in pratica allenandolo. Ma dal mio punto di vista esistono due interpretazioni del talento. Il primo è quello personale appena descritto. Il secondo è quello degli altri cui, come nel caso di un direttore d’orchestra, deve essere messo nella condizione di esprimersi al massimo.
Qualcuno potrebbe obiettare: “Aspetta! un conto è il talento. Un altro è la missione/sogno di vita.” In realtà noi diventiamo ciò che sappiamo fare meglio, quello che facciamo con più passione, con più voglia nella nostra vita. Quindi la prima cosa è domandarsi: Cosa voglio fare? Che talento possiedo? Dove voglio arrivare? Qual è la mia passione?
Una volta capito. Occorre chiedersi: Come lo raggiungo?
Oggi sono consapevole di essere arrivato a queste conclusione usando da bambino la tecnica della visualizzazione .Visualizzavo me stesso già lì davanti all’orchestra. Ma non solo mi visualizzavo. Cosa più importante sentivo nel profondo di me stesso l’emozione di raggiungere quel sogno. Quindi visualizzavo con la più grande emozione. Noi siamo come ricettori e trasmettitori di energia. Quello che domandiamo con forza… arriva!
Ognuno ha il suo metodo. Questo è il mio. Almeno penso di esserci riuscito in questo modo:
1.Ho scoperto il mio talento e il mio sogno
2. Mi sono costruito la strada per raggiungerlo
3. Mi sono allenato tutti i giorni per realizzarlo.
Alle volte però viene a mancare la concentrazione. Viviamo l’era delle continue distrazioni digitali: messaggi, telefonate, social, notifiche. Risulta facile perdere un attimo il focus, nonostante la passione per il tuo lavoro. A questo aggiungiamo anche la credenza che per raggiungere gli obiettivi dobbiamo lavorare dieci ore al giorno o anni. In realtà non è così. Occorre fermarsi e pensare se quell’obiettivo possiamo renderlo più attraente.»
Come allenare la motivazione e rendere l’obiettivo più attraente
«Personalmente quando mi capita di essere distratto e sento di non aver voglia di preparare un concerto procedo in questo modo: penso agli applausi. Li ascolto. Sento tremila persone che applaudono. Già comincio a pensare in modo diverso. Poi mi vedo lì con il mio frac nella sala d’attesa vicino alla porta che da l’accesso al palco. L’addetto è lì vicino, pronto ad aprirla e mi chiede: Maestro è pronto? In bocca a lupo. Rispondo crepi e poi mi dirigo verso il podio.
L’orchestra si alza in piedi in segno di rispetto. Tutti ti guardano e tu vedi che non c’è il leggio! Ah già! Ho imparato la partitura a memoria e pensi: che cosa incredibile sto facendo. Sto realizzando il mio sogno. Devo essere assolutamente grato di essere qua e di poter fare questo: dare emozione al pubblico. Immediatamente mi alzo vado a prendere lo spartito e comincio a studiare. Possono suonare 100 cellulari che non li sento più. Ho reso il mio obiettivo così attraente che resto concentrato solo su quello. Ho provato tante volte questo metodo e con me funziona.»
A cosa serve un direttore d’orchestra
Non importa se sei un allenatore di una squadra, il manager di un’azienda o un direttore d’orchestra. Leggi questa parte della storia del Maestro Sorichetti con l’intenzione di uscire fuori dagli schemi e collegare quanto lui adesso descriverà con la tua realtà. Perché alla fine, musica, sport o business non sono poi così tanto differenti. Lo sono solo sull’aspetto tecnico. Ma non è questo di cui parleremo.
Facendo un rapido riepilogo serve quindi scoprire il proprio talento, capire come tramite lui possiamo raggiungere il nostro sogno, importante perché ci dà la direzione, e impegnarsi ad allenarlo.
Ma come si allena il talento degli altri? A cosa serve il direttore d’orchestra? Il Maestro Sorichetti risponde così:
«Il Direttore d’Orchestra deve avere la conoscenza. Deve saper leggere la partitura. Deve sapere come suonano gli strumenti. Se sbagliano, correggerli. Non è indispensabile saperli suonare tecnicamente tutti. Basta sapere come suonano per aiutarli nell’interpretazione.
Poi occorre conoscere bene il compositore, con che intenzione ha scritto quella musica, cosa voleva trasmettere. E poi è importante far fluire la propria anima dentro la musica senza cadere nei personalismi. Importante è la gestualità, quindi il linguaggio del corpo, per indicare ai musicisti in quale modalità il suono deve uscire. Se con velocità, lentezza, moderazione oppure se deve essere un suono allegro, drammatico, energico e così via.
Infine c’è anche l’aspetto psicologico. Se si mettono insieme tutte queste cose con sintonia e con un’orchestra motivata, esce un suono eccellente. Magari non perfetto, ma eccellente si.»
Eccellenza non significa perfezione
A questo punto la mia mente, allenata alle connessioni con il mondo sportivo, si ricorda una frase di Julio Velasco, tra i più grandi allenatori di pallavolo di sempre, che ben si collega con quanto descritto dal maestro e che introduce il suo pensiero successivo:
“Eccellenza non significa perfezione. Si può essere primi anche se si hanno dei difetti e delle debolezze, anche se si ha paura. La pretesa di perfezione è una linea perdente”
Il Maestro racconta:«Infatti se ascoltaste un’orchestra da molto vicino vi accorgereste che non sempre tutti i musicisti suonano perfettamente. Non sempre tutti vanno insieme. Non sempre esiste questo straordinario affiatamento. Se il direttore ha la tolleranza di aspettare che il musicista che suona un po’ più forte, ad esempio, possa essere inglobato dalla sonorità degli altri, il risultato sarà omogeneo anche se qualcuno non è stato perfetto.
Se c’è un direttore che impone la sua direzione senza lasciare spazio a queste imperfezioni, lo spettatore si accorge di queste sbavature perché si sentono.
Se invece si allena ad essere tollerante permettendo di creare un’armonia tra gli strumenti naturale di inclusione, l’utente finale ascolterà la perfezione.
Quindi c’è una grande responsabilità del direttore e una caratteristica fondamentale che deve possedere: l’ascolto. Deve saper ascoltare. Nel vero senso della parola, io mi metto nelle condizione di comprendere quello che sta facendo l’altro musicista, anche se pensa una cosa diversa da quella che penso io. Non è che io sono la legge.
Ti ascolto senza giudicare.
Dal mio punto di vista esistono due regole:
- Regola numero uno: ascoltare
- Regola numero due :gratificare /valorizzare.
Se ho uno strumentista che suona un po’ diverso, se è una buona cosa glielo lascio fare. In questo modo gratifico e valorizzo quella persona perché parto dal presupposto che lui è già un talento.
Se scegliessi la linea rigida, opprimendo il suo talento, lo perdo. Sarà li fisicamente ma dal punto di vista mentale ed emozionale non mi darà il suo massimo. Sarà come tutti quelli che vanno a lavoro per abitudine, timbrano, suonano e se ne vanno. Senza mettere passione ed emozione in quello che fanno. Succede in tante orchestre.
Se lasciamo a ognuno di loro la libertà di fare quel pezzettino come vuole daremo a quella persona una gratificazione. Si sentirà motivata, coinvolta, amata e rispettata, ascoltata. Che sono poi le prime esigenze dell’essere umano.
Perché fare tutto questo? Per fare in modo che i musicisti siano felici di andare a suonare in quest’orchestra. Suoneranno dando il loro massimo possibile.
Ora quando un’orchestra suona veramente al massimo è un altra cosa. Mette la propria anima e questo potete immaginare a quale risultato meraviglioso possa portare. Secondo me per crescere professionalmente occorre non solo apprendere nuove competenze e conoscenze tecniche, ma anche crescere umanamente.
E per fare questo dobbiamo usare la grande energia delle emozioni.»
Epilogo
La grande energia dell’emozione e tra i fattori più importanti in una performance. E anche la più trascurata. Eppure è quella che alla fine fa la differenza sia per l’atleta, sia per l’allenatore. Si tende a restare concentrati esclusivamente sulla parte razionale (tecnica) dimenticando la parte emotiva ( irrazionale) che va altrettanto allenata. O viceversa. Occorre bilanciare le parti per trovare il giusto equilibrio e ottenere il massimo da entrambe. Spesso viene a mancare a causa di forti credenze e/o convinzioni limitanti.
Per farti un esempio: credere che si vince soltanto allenandosi tutti i giorni tecnicamente-fisicamente comporta il limitare le potenzialità della persona perché non c’è spazio per nient’altro. Come ad esempio il riposo che fa parte del processo… di allenamento o dedicare del tempo all’allenamento mentale.
Credere che in caso di infortunio non ci si possa allenare perché fisicamente non è possible recarsi in palestra o al campo è fortemente limitante perché non permette di trovare soluzioni alternative. Come ad esempio allenarsi sfruttando le potenzialità della mente.
Credere che arrivati a una certa maturità sportiva ( e non solo) si debba allontanare il bambino interiore contribuisce a far perdere oltre la metà del potenziale dell’atleta. Spesso sento questi racconti da parte degli atleti: quando avevo 11 anni mi riusciva tutto. Mi divertivo di più e vincevo tanto. Poi un giorno all’improvviso ho avuto un crollo. Un blocco e non mi sono più ripreso/a. Intorno a me è aumentata la pressione e anche l’aspettativa sul risultato. E non sono più riuscito/a a esprimermi come prima. Vorrei tanto ritornare a quel periodo. A quello stato mentale.
E qui mi sembra che la storia del Maestro Sorichetti ti abbia già detto tutto su quale sia il segreto :-)!
Adesso non ti resta che mettere in pratica quanto descritto in quest’articolo. Ci sono veramente tanti spunti di riflessione su cui poter lavorare. Usa la tua creatività. Crea un tuo metodo personale che funzioni per te. Ma soprattutto metti l’intenzione di crederci davvero nel tuo talento. Perché se non ci credi prima tu, non aspettare che lo facciano gli altri.
Buona allenamento mentale
Aurora
Ringrazio di cuore il Maestro Alfredo Sorichetti che ho avuto il piacere di conoscere durante il Forum Nazionale AICP di Ancona, per aver accolto con entusiasmo questo gioco tra sport e musica. Ti invito ad ascoltarlo in questa bellissima performance del Requiem di Mozart in D Minore, K626. Questo invece è il suo sito web www.alfredosorichetti.it
(immagini tratte da google. Video youtube )
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