DA OLIMPIONICA A MANAGER
Le competenze utili per ottenere risultati in azienda
Intervista a Maddalena Musumeci olimpionica Setterosa Atene 2004 oggi General Manager Virgin Active Catania
di Aurora Puccio
In assoluto sono convinta che, quando in un contesto lavorativo si crea un clima sereno costruito nel tempo grazie alle relazioni tra le persone, il risultato si ottiene lo stesso, senza l’ansia di ricercarlo. – Maddalena Musumeci
A CHE SERVE PRATICARE SPORT?
Lo sport fa bene al fisico.
È una definizione riduttiva per un’attività che se praticata anche a livello agonistico, a prescindere dai titoli vinti o meno, è una vera palestra di vita che forgia il carattere. Una formazione continua, in grado di sviluppare abilità mentali che si trasformano in competenze.
Nel mondo aziendale ormai sembra chiaro che le sole competenze tecniche (hard skills) non sono sufficienti per sostenere un mercato in continuo cambiamento. Altre di tipo personale e trasversale stanno diventando necessarie perché influenzano in positivo l’ambiente in cui si lavora. Sono chiamate: soft skills.
Prendendo ad esempio il padre del coaching sportivo, ex allenatore di tennis Timothy Galloway, possiamo parlare anche di competenze incluse nel “il gioco interiore” che ogni atleta sperimenta durante la sua carriera.
Di seguito alcuni esempi:
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Attitudine a performare sotto pressione.
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Abilità nel fissare obiettivi a lungo termine sognando in grande.
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Capacità a rialzarsi anche mille volte, se necessario, perché non esiste storia dove un atleta non abbia dovuto affrontare un fallimento, un errore o una sconfitta.
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Abilità a sapersi relazionare, comunicare e a lavorare in team
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Abilità a risolvere gli imprevisti e a trovare soluzioni
COME SI SVILUPPANO QUESTE ABILITÀ
Immagina anni di agonismo passati ad allenarsi con determinazione, disciplina, costanza, voglia di superare le paure, con la fame di vincere nonostante ostacoli e difficoltà. Anni in cui si ha una crescita personale (gioco interiore) e di competenze che, prive di una reale consapevolezza, si riversano in automatico nel modo di approcciarsi al lavoro.
Diversi sono gli esempi di atleti che, conclusa la carriera sportiva, hanno messo a disposizione della propria azienda le competenze acquisite “in campo”. Tra questi oggi ti condivido l’esperienza di Maddalena Musumeci, Olimpionica del Setterosa (nazionale italiana pallanuoto, leggenda dello sport italiano).
Oltre all’oro olimpico, Maddalena insieme alle compagne, è stata anche campionessa del mondo ed europea. Tra una medaglia e l’altra, l’ex azzurra, come molti dei suoi colleghi, è riuscita a conciliare anche lo studio lauraendosi in scienze sociali. A conferma che sport e scuola possono convivere. Ne ho già parlato con lei in questo articolo Sport e Scuola due mondi in cerca di dialogo.
PRESENTAZIONE
Ormai conosco Maddalena da sei anni ed è una persona solare che stimo molto con la quale condivido oltre i valori dello sport, anche la passione per le Olimpiadi, lo studio, i libri e da brave catanesi anche la buona cucina. Il tutto sempre condito da una sana ironia che rende i nostri scambi divertenti, ricchi di contenuto soprattutto dal lato umano. Peculiarità che l’ex azzurra mette in campo tutti i giorni anche nel suo lavoro. Alla continua ricerca di novità, le piace osservare il mondo, ascoltare le persone. Conoscere ciò che sta cambiando. Soprattutto in un periodo storico come questo è attenta ai cambiamenti legati alla trasformazione digitale.
Da atleta, infatti, era una buona osservatrice, provava a capire le cose prima ancora che qualcuno potesse spiegargliele. La peculiarità della pallanuoto è quella di vivere situazioni sempre diverse e risolverle in pochissimi secondi (problem solving).
Oggi Maddalena è General Manager di uno dei 39 club di fitness della catena Virgin Active, quello della sua città: Catania. Ha avuto un lungo percorso aziendale che l’ha vista crescere, passo dopo passo, come già le era successo nella carriera sportiva. Tanti obiettivi intermedi, altrettanto di lavoro, studio e determinazione.
Per molti atleti il post-carriera (Outplacement) è un momento delicato. L’inizio di una nuova vita lontana dai riflettori, in cui si devono rimettere in gioco e dimostrare di valere anche senza medaglia al collo: un lutto da elaborare. Molti scoprono presto che i due mondi sono diametralmente opposti: mai più potrà vivere l’adrenalina della notte prima della partita; oppure il riscaldamento che prepara alla gara.
Il momento in cui, a pochi secondi dalla fine della partita, si è un goal sotto o un goal sopra, il fischio dell’arbitro che decreta la vittoria olimpica.
Quell’adrenalina non la sentiranno mai più.
Quando nel 2013 Maddalena ha appeso la calottina al chiodo, anno in cui è stata assunta dall’azienda Virgin Active, si è trovata ad affrontare questo passaggio. Ed è da qui che partirò con l’intervista esplorando temi come:
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il passaggio dallo sport all’azienda
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come le competenze sportive sono un valore aggiunto nel percorso di crescita aziendale
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come da General Manager l’ex azzurra mette in pratica la sua mentalità da atleta vincente nel relazionarsi con i collaboratori, gestire il team, e perseguire i risultati.
L’obiettivo che sia io che Maddalena intendiamo raggiungere con l’intervista è quella di lanciare una buona notizia: se vogliamo aziende performanti con persone che lavorano in un’ambiente che rispetta il principio di work-life balance...è una sfida che può essere vinta. Basta aprire la mente… a tale possibiltà!:-)
IL PASSAGGIO DALLO SPORT ALL’AZIENDA
Come hai affrontato questo passaggio dalla vita sportiva a quella aziendale?
«Sono entrata in Virgin Active di Catania, otto anni fa, come responsabile di tutto il dipartimento junior (bimbi dai 18 mesi ai 13 anni) da noi denominata Kidsville. Il mio compito era guidare gli istruttori e gli educatori. Provenivo da uno sport di squadra pertanto l’approccio alla gestione del team è stato naturale.
«Ho quindi iniziato a studiare ed osservare il contesto. I miei colleghi sono stati di supporto per tutta la parte tecnica, le cosiddette hard skills come l’uso di excel, strutturare un palinsesto e così via. E io?
Cosa stavo portando con me in termini di competenze?
Cosa avrei potuto dare all’azienda che si è fidata di me?
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il team work
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l’approccio all’errore: non è importante cercare il colpevole.
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Saper chiedere aiuto e sostenersi l’uno con l’altro
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Responsabilità e comunicazione
«Sono valori che mi sono ritrovata a introdurre con spontaneità da subito. Poi ho approfondito attraverso dei percorsi di studio personali e di formazione diretta in azienda. La Virgin Active può fregiarsi al suo interno di un’Academy dove i dipendenti e non solo, hanno a disposizione diversi percorsi per sviluppare nuove competenze.
«Da buona sportiva, ricoprendo già un ruolo di responsabile, ho guardato al gradino più alto: la gestione del Club. C’è voluto del tempo e tanto lavoro per raggiungere l’obiettivo fissato. D’altra parte c’ero già abituata all’attesa. Per realizzare il grande sogno delle Olimpiadi, mi sono allenata duramente per quattro anni. Anzi in realtà sono stati molti di più…»
DAL FALLIMENTO ALLA VITTORIA
Qui è doveroso aprire una parentesi sul Setterosa, unica squadra femminile a oggi ad aver vinto tutto e l’oro olimpico, per comprendere ancora di più come Maddalena abbia forgiato la sua mentalità. Tutti pensano che i vincenti non falliscono mai. Invece sono quelli che hanno la grande capacità di rialzarsi, nonostante una sconfitta pesante quanto il calcio di rigore sbagliato da Roberto Baggio ai Mondiali di calcio del 1994.
E ciò che è successo alle azzurre nel 2000 il giorno in cui a Palermo hanno mancato la prima qualificazione olimpica a Sydney. Una vittoria data per scontata in quanto campionesse del mondo ed europee in carica. Di certo la squadra più forte in quel momento. Per questo erano le candidate a vincere il titolo olimpico.
Immagina la delusione. Gli anni impiegati per prepararsi a questo evento a cui se ne sono aggiunti altri quattro prima di trionfare ad Atene nel 2004. Un dramma sportivo vissuto in solitudine da ognuna di loro. Ma il giorno dopo tutte, nessuna esclusa, si erano guardate negli occhi e da vere tigri, come sono state nominate, avevano deciso che loro quella medaglia andavano a prendersela in Grecia.
Chi pratica sport agonistico vive tante di queste esperienze; sono così forti che il gioco interiore della persona ne assorbe le qualità in modo inconsapevole. Risulta normale poi che in situazioni simili ogni ex atleta ha già le risorse e le strategie mentali per affrontarle.
Per chi vuole approfondire la sua storia sportiva e le storie delle altre azzurre può leggere il libro : Setterosa come le donne vincono in squadra un saggio biografico che ho scritto per dare luce a queste donne leggende dello sport italiano e analizzare la prestazione da diversi punti di vista attraverso la metodologia del mental coaching.
L’APPROCCIO ALLE DIFFICOLTÀ
Com’è quindi il tuo approccio alle difficoltà?
«Quando giocavo a pallanuoto, durante i momenti down, pensavo al motivo per cui mi stavo allenando. Ero focalizzata sull’obiettivo finale. È così che tutte le volte ritrovavo la forza per andare avanti. Lo stesso succede in Virgin Active dove per fortuna, rispetto magari a ciò che accade in altre aziende, l’ambiente è piacevole. Chiaro che i momenti difficili ci sono anche qui. Però affronto il tutto con perseveranza e dedizione. Come se l’azienda fosse di mia proprietà, con il significato di trasmettere questo forte senso di appartenenza.»
Oggi nel ruolo che tu ricopri tante aziende stanno mettendo in atto un programma di formazione per invitare i propri manager a un cambio di mindset nella relazione con i collaboratori e nella gestione team. L’obiettivo, spinto anche da questi anni di pandemia, è quello di creare un sistema di benessere psico-fisico basato sull’ascolto e lo sviluppo del potenziale umano. Da questa nuova prospettiva in cui ti trovi cosa puoi dire?
«Il mio carattere silenzioso e riservato è stato un vantaggio perché mi ha portato a sviluppare la capacità di ascolto e osservazione delle dinamiche di squadra. Inoltre l’essere in media almeno 17 persone tra atlete e staff tecnico, aiuta costantemente a prendere in considerazione diversi punti di vista.
«Infatti a tal proposito dico sempre che non esiste una cosa giusta o sbagliata quando si parla di idee o di pensieri. Possono esistere 17 idee con punti di vista differenti. Quello che desidero trasferire oggi come manager è proprio l’attitudine ad ascoltare. Pensare che di fatto esistono tanti punti di vista rispetto allo stesso argomento.»
Come gestisci quindi adesso le tue risorse?
«Attualmente il mio approccio è di apertura massima. Evito di pensare in modo gerarchico. Ovvero: “io sono il capo e tu mi devi ascoltare e devi fare come dico.” Sono aperta all’ascolto. Cerco sempre di capire se la soluzione che mi portano i collaboratori siano buone lasciando che mi spieghino come ci sono arrivati. Questo modello basato sull’ascolto è lo stesso che adotto anche nella crescita di mia figlia. Quindi dentro ci porto il mio essere stata atleta, il mio essere mamma. Una serie di competenze che mi fanno gestire le risorse mettendo al centro la persona.
«Il mio scopo principale è tirare fuori il meglio da ogni persona. Poi come ogni cosa puoi riuscirci oppure no. Ogni risorsa è unica e per questo motivo ciascuno risponde in modo diverso. Ci sono collaboratori che hanno maggiore propensione a esprimere le proprie idee. Altri sono più timidi. In questo caso non puoi costringere nessuno e cercare di “leggere le emozioni”.»
LA STRATEGIA
In pratica stai confermando che oggi tra le competenze richieste a un manager, ci sia l’ascolto, la capacità di relazionarsi e di saper comunicare. Oltre all’annosa questione della capacità di motivare il proprio team. Anche tu quindi non puoi sfuggire alla domanda da un milione di dollari che sento di continuo in tutti i workshop e seminari: come si fa a motivare una risorsa e tu quale strategia adotti?
«Più che a motivarli io provo ad ingaggiarli e ti spiego perché uso il termine ingaggio piuttosto che motivazione. Quando hai un ruolo che per otto anni ti richiede la stessa cosa è fisiologico che la motivazione può scemare. Con gli altri miei colleghi manager cerchiamo di trovare delle soluzioni insieme agli stessi collaboratori.
«La nostra intenzione è di coinvolgerli chiedendo loro cosa potrebbero fare di diverso rispetto alla situazione attuale. Quindi non siamo noi che decidiamo cosa fare o motiviamo con le classiche frasi “dai forza che ce la fai”. Dipende dal momento, la frase motivazionale fa parte del gioco. Io stessa alle volte mi ripeto delle frasi nella testa. Resta però il principio che tendiamo a tirare fuori da loro stessi cosa potrebbe ingaggiarli.
Ritorniamo quindi al punto di prima: l’ascolto. Purtroppo spesso si pensa di motivare gli altri in base a ciò che motiva se stesso. In questo caso si perde in partenza. Ogni individuo è unico e come tale va gestito ascoltandolo. Spesso motiviamo con i nostri pregiudizi. Se ad esempio io sono motivata ad avere come obiettivo l’Iroman, altri troveranno la motivazione in un altro modo. Non posso quindi credere di motivare una persona pensando al mio modo di essere. Ascolto ed empatia sono fondamentali. Ascoltare le persone realmente perché spesso si fanno le classiche domande del tipo: “Cosa ti piacerebbe fare?” se poi non ti metti con sincerità in ascolto della risorsa, la stessa domanda perde efficacia. Questo ti mette nelle condizione di comprendere come puoi aiutarla.
«La domanda infatti dovrebbe essere:
In che modo io ti posso aiutare?
con l’obiettivo di farti dire da loro cosa vogliono. Se sei un manager che tiene davvero alla loro crescita ti muovi diversamente. Altrimenti la cosa resta a un livello superficiale.»
Esiste la possibilità di trovare un punto di equilibrio tra il benessere psico-fisico della risorsa e il risultato a tutti i costi? Noto che nel tempo, sia andato in disequilibrio pendendo solo dal lato del risultato; esasperandolo a svantaggio di un equilibrio socio-famigliare risvegliatasi in questi due anni di pandemia.
«Penso sia una cosa molto personale. Deve essere il manager maturo a capire se sta andando oltre. Ad esempio, quando ho iniziato a lavorare in azienda, abituata a doppie sedute di allenamento e con la testa sempre focalizzata sull’obiettivo, per me era normale entrare la mattina e non rendermi conto di essere rimasta dodici ore al club. Eppure il mio orario lavorativo era di otto ore. In una situazione di work-life balance, nel senso di benessere, il manager deve intervenire sulla gestione del tempo.
«In assoluto sono convinta che quando in un contesto lavorativo si crea un clima sereno costruito nel tempo grazie alle relazioni tra le persone, il risultato si ottiene lo stesso senza l’ansia di ricercarlo. Arriva in modo naturale. Fino a qualche tempo fa si pensava di dover lavorare come dei robot, a compartimenti stagni.
«Si chiedeva alle persone “di lasciare fuori dall’ufficio i propri problemi”. Oggi si è consapevoli che quando si parla di persone questa richiesta è impossibile. Gli stati d’animo esistono e determinano il modo di agire e di lavorare.
«Oggi si lavora molto con le emozioni e anche in azienda si parla di intelligenza emotiva. Ovvero riconoscere le proprie emozioni e in che modo posso utilizzarle per raggiungere dei risultati o per comportarmi in un certo modo. In questo momento ci sono tanti strumenti a disposizione dei manager per poter lavorare bene.
«Occorre solo avere una mente aperta.»
LO SVILUPPO DEL POTENZIALE UMANO E IL LAVORO SU DI SE STESSI
Condivido questo tuo approccio. Anzi, creare un buon clima nel team mette nella condizione di reggere i periodi di cambiamento e di stress. Di gestire al meglio le emergenze che ovviamente possono capitare. Se però lo si è tutto l’anno è evidente che nel sistema c’è qualcosa che non funziona . Per quanto riguarda lo sviluppo del potenziale in assenza di crescita professionale, aumenti di stipendio, bonus o avanzamenti di carriera. Tu come fai?
«Come raccontavo prima chiedo a loro cosa piacerebbe fare. Poi, se non avessi altro da offrire, lavoro sulle competenze, cioè metto le persone nelle condizioni di migliorarsi acquisendone di nuove da sfruttare dopo. Ad esempio quando si sbloccano le carriere o altro.»
Se dovessi dare un consiglio ai manager, cosa senti di poter condividere tra i fattori più importanti che ti hanno portato a questi risultati?
«Di sicuro mantenere sempre un’alto grado di curiosità e tanto, davvero tanto, lavoro su se stessi. Non posso pretendere di gestire un team se per prima non mi metto in gioco. Ad esempio anche io metto in atto l’intelligenza emotiva e lavoro sulle mie emozioni. Sull’ascolto, sulla loro gestione, sul come reagisco in determinate condizioni. Mi domando sempre come posso migliorarmi affinché possa essere di aiuto poi anche alle altre persone. Questo è quello che funziona con me. Poi se questo porta anche dei risultati lo lascio dire agli altri.»
Qual è il tuo prossimo sogno, se si può dire…?;-)
«Lo sto costruendo…non posso dirlo ;-)! Grazie per l’intervista!:-)
OCCORRE UN CAMBIO DI MINDSET
Quest’ultimo punto ritengo sia estremamente importante. Spesso i manager, come anche i pari colleghi nello sport, vogliono strumenti pratici per sapere come motivare collaboratori e atleti.
Gli strumenti senza un lavoro concreto e prioritario su stessi non servono a molto. Occorre un cambio di mindset. Occorre pensare in modo diverso da come si è fatto fino ad oggi. Ciò che funzionava in passato, oggi non funziona più.
Si tratta di una società basata solo sulla performance che esclude l’esigenze delle persone e che questi due anni di pandemia hanno fatto emergere in modo significativo.
A tal proposito vi suggerisco di leggere i libro scritto dai due filosofi Maura Gangitano e Andrea Colamedici, edizione Tlon, dal titolo: “La società della performance.” In questo saggio Maura e Andrea descrivono come le relazioni siano cambiate. Le condizioni di disagio, attesa e paura di chi sente di non avere il proprio posto nel mondo dove tutto è basato sui like, sui follower, sulla competizione.
Un’azienda, così come una società sportiva, una squadra, è fatta di persone.
Creare buone relazioni, un’ambiente produttivo ed ecologico per il benessere psico-fisico di tutti, è il presupposto per ottenere nuovi risultati, costanti e replicabili nel tempo. Questi sono gli ambienti con miglior possibilità di performare e reggere i cambi repentini di mercato.
Inoltre aggiungo che non sempre è vero per chi ha praticato sport far coincidere capacità e voglia di mettersi in gioco in un contesto aziendale oppure è in grado di ricoprire il ruolo di manager.
Nella storia di Maddalena, conoscendola personalmente posso dire che le competenze sportive, unite a un carattere già predisposto all’ascolto e alle relazioni e all’interesse per la formazione continua, fa si che oggi l’ex azzurra abbia raggiunto anche nel lavoro l’obiettivo prefissato.
Ringrazio di cuore Maddalena Musumeci per aver condiviso questa sua preziosa esperienza!
(foto archivio personale Maddalena Musumeci. Altre foto Setterosa Nazionale Italiana Pallanuoto Claudio Scaccini)
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