NELLA MENTE DELL’ARBITRO
“Quasi tutti quelli che parlano di calcio hanno giocato a calcio almeno una volta nella vita. Quasi tutti quelli che parlano di arbitri non hanno mai arbitrato una partita nella loro vita.”
Nicola Rizzoli – ex arbitro internazionale Calcio
“Io non farò mai l’arbitro!” È la tipica frase che ogni giocatore, di qualsiasi disciplina, pronuncia almeno una volta nella sua vita sportiva, con toni simili all’invocazione di allontanare la peste bubbonica. Come se interpretare un ruolo, senza il quale nessuno dei suddetti giocatori potrebbe giocare, sia un virus contagioso da cui stare lontani.
Lo ammetto. Anche io da giocatrice, condizionata dalla cultura sociale di un paese dove se succede qualcosa di sicuro è colpa dell’arbitro, ho pronunciato questa frase. Fino a quando un giorno per caso mi sono ritrovata mio malgrado ad arbitrare una partita di softball.
La frase che dissi con riluttanza prima di iniziare fu: Va bene ma sarà la prima e l’ultima volta.
Da quel giorno sono passati 7 anni, (ndr. le ultime parole famose :-)), letteralmente innamorata di una funzione complessa da svolgere e per questo sfidante. Mi ha dato l’opportunità di vedere il gioco da un’altra prospettiva. Di rendermi conto quanto da giocatori o da allenatori abbiamo la presunzione di conoscere il regolamento. In realtà ne sappiamo una minima parte basata solo sull’esperienza senza mai averla approfondita realmente. Restiamo ad un livello così superficiale da perderci quelle sfumature che fanno la differenza anche nella performance.
Per questa ragione oggi condivido con te la storia del collega Gianluca Magnani, nel 2016 nominato miglior arbitro al mondo di Softball, gioco americano che deriva dal baseball dove le squadre, a differenza di calcio, basket o pallanuoto, si alternano in attacco e in difesa. A prescindere dallo sport e dal ruolo praticato, hai l’occasione di guardare la prestazione sportiva con gli occhi di un arbitro.
ESERCIZIO – Prima parte
Prima di tutto partiamo con un esercizio: prepararti alla lettura ponendoti con uno stato mentale libero da pregiudizi e stereotipi sulla figura arbitrale. Come si fa? Seguimi:
1. Prendi carta e penna ( come al solito lascia stare il digitale che annebbia i tuo simpatici neuroni :-))
2. Metti un timer della durata di 2 minuti
3. Fai partire il timer e scrivi le prime cose che ti vengono in mente sulla figura dell’arbitro (sensazioni, esperienze, pensieri ecc.)
NOTA: Non ti viene richiesto di scrivere la Divina Commedia in perfetto stile grafico e grammaticale :-)! Scrivi in assoluta libertà. L’importante è non stare troppo a riflettere.
Fatto? Perfetto. Adesso comincia a leggere l’articolo come se fosse la prima volta che senti parlare dell’arbitro. Per ogni esperienza che verrà descritta osservala come quando da bambino sgranavi gli occhi pieni di stupore perché stavi imparando qualcosa di nuovo. Uno dei principali errori che commettiamo nella vita in generale è dare le cose per scontate.
Quello che stai per fare è un allenamento mentale…:-)!
PRESENTAZIONE
Come per gli atleti e gli allenatori, anche gli arbitri hanno una loro carriera sportiva su cui raramente si accendono i riflettori. Per darti un’idea l’arbitro Gianluca Magnani sta al Softball come l’arbitro Pierluigi Collina sta al calcio, come l’atleta Juri Chechi alla ginnastica artistica e come l’allenatore Mr. Alex Ferguson al Manchester United.
Ha partecipato ai Giochi Olimpici di Pechino 2008 arbitrando la finale per la medaglia di bronzo Australia vs Giappone, come Artbitro Capo. Una partita durata 3 ore e 23 minuti; finita agli extra-innings: ben 5 innigs supplementari (ndr nel softball gli innig/tempi regolamentari sono 7)
Ha partecipato a 6 mondiali arbitrando per tre volte (due come arbitro capo e una come arbitro di prima base) le finali tra le due squadre più potenti di questo sport: Giappone e Stati Uniti. Con la convocazione al prossimo torneo di qualificazione olimpica per Tokio 2020 sarà il primo arbitro al mondo ad aver raggiunto quota 10 partecipazioni alle manifestazioni internazionali più prestigiose. I modelli arbitrali a cui si è ispirato sono due: Tim McClelland arbitro di baseball ritirato nel 2015 fa dopo 34 anni di MLB e Pier Luigi Collina che è il suo modello di riferimento assoluto.
Dimenticavo…è anche un grande tifoso dei Boston Red Sox
Ma come è possibile che una persona decida un giorno di arbitrare e per di più uno sport americano poco diffuso nel bel paese?
L’INIZIO
Gianluca diventa arbitro a 16 anni. Un po’ per scelta e un po’ per necessità. Gli piace il gioco del baseball e durante il week end va a guardare le partite nella vicina Parma. Ma vivendo in un paesino sperduto della bassa parmigiana, non ha possibilità di allenarsi e diventare giocatore.
Un venerdì sera i suoi compagni di classe, con cui condivide questa passione sportiva, vanno alla partita. Gianluca resta però a casa. Non c’è un autobus che lo riporta indietro in nottata. Così il giorno dopo gli amici raccontano ciò che era successo e di uno strano volantino con scritto: Vieni a fare l’arbitro. Decisero di andare cercando di coinvolgerlo. A Gianluca l’idea era piaciuta. La considerava un’opportunità per entrare in questo mondo che tanto amava da una porta diversa dal solito. Restava il problema della distanza.
Se per giocare non aveva mai osato chiedere ai genitori, stavolta Gianluca si fece coraggio e ne parlò con suo padre Gianfranco che avrebbe dovuto sobbarcarsi il peso di accompagnarlo al corso. Il giovane futuro arbitro internazionale era pronto a lottare pur di vivere quest’esperienza. Tutto poteva immaginare tranne una risposta immediata positiva che lo spiazzò.
Soltanto anni dopo comprese la scelta. Essendo il papà un insegnante vide nel corso arbitrale una grande occasione di crescita per il figlio. Una scuola di vita. Una serie di possibilità dove allenare competenze come:
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assumersi la responsabilità del gioco
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saper prendere decisioni
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portare avanti un progetto, un sogno, un obiettivo.
Alla fine la scelta fu del padre e pian piano la passione di Gianluca cresce e comprende definitivamente di non avere le qualità per essere un atleta. Il ruolo dell’arbitro però gli avrebbe permesso di vivere il baseball dall’interno di un diamante (ndr nome con il quale viene definito il campo di gioco che ha la forma appunto di un diamante) piuttosto che seduto sugli spalti solo a tifare.
LA SFIDA
Dall’inizio della tua storia si comprende come tuo padre sia stato determinante per cominciare questa splendida avventura. Ma adesso che hai raggiunto la tua 33esima stagione ti chiedo… perché uno dovrebbe fare l’arbitro?
«Se uno può giocare, gioca. Non sto dicendo che deve rinunciare a essere atleta. Fare l’arbitro è bello perché ti dà la possibilità di metterti in gioco. Di dimostrare quanto vali. Dico sempre che un arbitro non vale per quello che ha fatto ieri. Ma vale per quello che sta facendo oggi e per quello che farà domani. Posso aver arbitrato tante competizioni. Ma se domani dovessi andare in campo e sbagliare, nessuno si mette a dire: Eh però è andato alle Olimpiadi, ecc ecc. Diranno che ho sbagliato e hanno ragione. Tutto questo lo considero una bella sfida. Ogni partita mi permette di rimettermi in gioco cancellando quanto fatto in precedenza.»
Ti sentiresti ti consigliare a un giovane di provare quest’esperienza a prescindere dalla possibilità di intraprendere una carriera e perché dovrebbe farlo?
«Assolutamente si. Non nego che l’attitudine all’arbitraggio intesa nel prendere decisioni mi ha anche aiutato nella vita. Mi sento molto più sicuro anche nel lavoro, nella famiglia. Poi magari sbaglio. Ma non posso nascondere che arbitrare mi ha aiutato a capire che ci sono momenti in cui occorre saper decidere. Alle volte anche con velocità.
In pratica hai allenato una competenza mentale che trasversalmente usi anche in altri contesti. Quindi ti chiedo quali altre competenze senti di aver sviluppato grazie all’arbitraggio?
«La pazienza. Non riesco più a guardare una partita di qualsiasi disciplina senza schierarmi apertamente a favore dell’arbitro. Anche se sbaglia. Non riesco per definizione a vedere il marcio.
Se un arbitro ha sbagliato ci sono due opzioni:
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O è scarso
-
Oppure in quel momento ci ha visto male
Se vuoi riuscire in questo ruolo devi essere paziente. Se qualcuno ti entra sotto la pelle perché protesta, atleta, allenatore o pubblico che sia non importa:tu hai finito. Non sei più lucido. Capita a tutti. Anche a me è capitato di perdere la pazienza. Che non significa essere arrabbiati. Significa non essere più concentrato in ciò che si sta facendo ma in quello che ti accade intorno. Hai terminato di arbitrare. Si aggiungono errori su errori. Ho capito che se vuoi essere performante devi essere paziente. Altrimenti ti sei rovinato la partita e non riesci più ad andare avanti.
Sviluppare questa abilità mi ha aiutato anche nei rapporti interpersonali. Da ragazzo ero timido, anche se oggi non sembra, e in realtà mi sentivo “imbranato”. Avevo dei problemi sociali. Grazie all’arbitraggio, dove per forza di cose sei costretto a interagire con altre persone, sono riuscito a superare queste mie difficoltà adolescenziali e oggi mi sento più sicuro quando parlo con le persone. Se ho bisogno di chiedere chiedo senza pormi più tanti problemi.»
LA COMUNICAZIONE EFFICACE
Quindi un’altra competenza che salta fuori è la capacità di comunicare in modo efficace…
«Assolutamente si. Ho imparato che dire la cosa giusta nel momento giusto vale più di cento chiamate fatte bene. Saper come prendere gli altri. Conoscere l’interlocutore come dialogare con lui è fondamentale. La comunicazione viene ancora prima di tante altre cose.
Io odio l’arbitro che fa la cosa giusta e la spiega male. Molto meglio sbagliare ma riuscire a spiegare le cose tanto bene quasi da convincere l’altro ad avere ragione.
Come hai sviluppato questa capacità?
«Prendendo legnate sul naso. Sono autodidatta. Fino a un certo punto non ne capivo l’importanza. Un po’ per pigrizia. Un po’ perché ignoravo l’esistenza di studi su quest’argomento. Ho iniziato ad approfondirlo in tarda età grazie a un arbitro canadese. Durante una convention di tanti anni fa, mi aprii gli occhi parlando di visualizzazione, di approccio mentale alla partita. Da quel momento lì cominciai a leggerci qualcosa, senza ovviamente diventare un esperto. Diciamo che la base sono state le legnate sui denti. Sbagliare e tanto. L’altra attitudine che si sviluppa è quella di imparare dai propri errori. Devi essere velocissimo a gestirli e dimenticarli.»
LA GESTIONE DELL’ERRORE
La gestione dell’errore fa parte dell’essere umano in ogni contesto. Nel ruolo di arbitro assume una rilevanza esponenziale. Comunque vada ci sarà sempre qualcuno che pensa di aver subito un errore arbitrale. Che strategia usi?
«Dal mio punto di vista l’errore si gestisce in due passi:
1. Quando sei in partita e succede l’errore, va dimenticato in tempo zero. Devi fare un lavaggio di cervello. Spazzarlo via. Andare avanti. Azione difficilissima da mettere in pratica anche perché ci sarà sempre tanta gente dall’esterno, tifosi, allenatori, giocatori, pronti a ricordartelo ogni secondo.
2. Una volta terminata la partita, prendi l’errore, lo metti sul tavolino e lo devi rianalizzare. E da lì che impari. Il concetto di imparare a visualizzare come sarebbe dovuta andare l’azione, perché hai sbagliato. Cosa è andato storto. In che posizione ti trovavi e così via. Possibilmente occorre macinarlo un po’ di tempo senza andare oltre. Cioè non deve diventare un’ossessione. Rimuginarci troppo non serve. Terminata questa sua funzione, capito dove apportare le modifiche per migliorarsi, l’errore va parcheggiato nella nostra mente in modo positivo. Cioè occorre ragionare in termini di utilità. Ci è utile perché ci dà il vantaggio di aver già vissuto quell’esperienza e sapere già come gestire la situazione.
Come fai durante la partita a mettere in pratica questa sorta di “cancellazione” temporanea dell’errore dalla testa. Lo sportivo è portato a ripensare di continuo in negativo. Risulta difficile. Come ci riesci?
«Questo mestiere è un po’ vigliacco. Più vai avanti più gli errori ti aiutano a crearti una struttura consapevole alla sopravvivenza e per forza di cose sviluppi l’abilità di cancellare l’errore. Il fatto è che più diventi grande e meno poi il fisico ti sorregge. Al contrario quando sei giovane ti manca l’esperienza per sostenere il peso dell’errore.
Per quanto mi riguarda in questi casi comincio a dirmi delle frasi (ndr. Si chiama dialogo interno ne ho parlato in altri articoli) del tipo: Adesso basta. Abbiamo finito per oggi.»
LA PREPARAZIONE MENTALE
Come si deve preparare un arbitro dal punto di vista mentale, e tu cosa fai?
«Non c’è una ricetta univoca. Comunque penso che qualcosa debba passare per forza dalla concentrazione. Se uno sta al bar a chiacchierare fino a cinque minuti prima della partita, non mi convince. C’è chi si concentra ascoltando la musica; chi si ripassa qualcosa di tecnico o di regolamento; chi si fa una passeggiata solitaria. Dal mio punto di vista deve esistere un momento in cui devi connetterti con te stesso. Pensare a quello che si vuole e che si sta per fare.
Io ho una preparazione che parte dalla sera prima quando sistemo il borsone. Scatta un “click” nella testa. Da questo momento in poi so che parte il mio week end di gare.
Il giorno delle partite non amo viaggiare con tante persone, parenti amici o altro. Se viaggio insieme a un collega, mi piace parlare un po’ di tutto: sport, politica non importa. Serve a smorzare la tensione e a creare la sintonia con il collega. Una volta arrivati al campo ho alcuni momenti specifici che scandiscono la mia preparazione.
Con la pulizia delle scarpe comincia la mia concentrazione. Non lo faccio mai a casa. E come se con quel gesto cancellassi la partita precedente per prepararmi a una nuova. Pulire le scarpe è il “click” della partita. Qui comincio a odiare tutti. A chiunque mi si avvicina. Tranne il mio collega che in quel momento facciamo squadra.
Poi mi vesto in un certo modo: non per scaramanzia ma per comodità, visto che nel nostro sport abbiamo una serie di protezioni da indossare sotto la divisa ufficiale, come schinieri, pettorine. Più vari accessori come la sacca porta palle e il contastrike e la maschera che si indossa direttamente in partita. Faccio cose che mi fanno stare bene e che so mi mettono nella condizione mentale giusta.
Finita questa serie di passi. Basta. Smetto di odiare il mondo. Sono pronto. Mi sento in pace e felice perché a breve sto per entrare in campo e fare la cosa che più mi piace al mondo: arbitrare. Sono sereno e rilassato.
Se invece non metto in pratica questa mia preparazione rispettando i miei tempi, il mio ritmo, rischio di portarmi in campo un po’ di ansia. Magari penso di essermi scordato qualcosa. Gesti che avrò fatto mille volte ma non importa. Se non li faccio con la giusta attenzione non sono nella mia zona di comfort. Come vedi non sono cose pazzesche. sono cose normalissime.»
E la visualizzazione?
«Ecco questa parte la faccio a casa. Sai come gli sciatori quando si preparano ripassando il tracciato? Io eseguo una cosa simile ma il giorno prima a casa. Visualizzo prima la partita, le situazioni di gioco. Il giorno della gara preferisco in caso guardare il lanciatore (ndr Nel softball come nel baseball il gioco comincia dal lanciatore che lancia la palla verso il battitore il cui obiettivo è colpirla per avanzare nelle basi e segnare il punto. Compito dell’arbitro è giudicare i lanci. In media in una partita vengono giudicati circa 300 lanci.)
Ritorno un attimo alle pulizie delle scarpe. L’atto di pulire è come se mi aiutasse a lasciarmi alle spalle anche problemi di lavoro, o fattori esterni. Pulisco la mente. Da quel momento è tutto nuovo. L’atto è collegato alla pulizia della mente. Per me sono le scarpe. Qualcun’ altro userà Yoga o la musica. Non importa. Quello che conta è praticare questo atto di pulizia, liberazione mentale.
Quanto conta per un arbitro conoscere il regolamento?
«Tutto. Se non sei sicuro di quello che stai facendo non lo fai bene. Se tu sai di essere inattaccabile sul regolamento, nulla può succedere in campo che io non so. Possono non essere d’accordo su un giudizio su una chiamata e come tale è soggettivo. Io l’ho vista in un modo. Un altro fuori pensa di aver visto una cosa diversa.
Questo è il mio obiettivo: non può succedere nulla che non conosco già.
Alcuni dicono: Va be tanto non serve sapere tutto del regolamento. Ci sono alcune cose che non capitano mai.
Io rispondo: Hai ragione. Ma io ho il terrore che accada e non essere pronto a gestirla. Preferisco sapere tutto il regolamento piuttosto che trovarmi nella situazione imbarazzante di non sapere cosa è successo.
Posso sbagliare. Certo. Ma non essere in grado di gestire una situazione perché non si è preparati è la cosa peggiore che possa esistere. Devi ridurre al minimo la percentuale degli imprevisti possibili e immaginabili. In realtà può succedere di tutto, ovviamente. Ma in generale io devo entrare con la convinzione che nulla può accadere che non sappia già. A patto che mi sia preparato.»
Oltre all’aspetto mentale comunque l’arbitro, a prescindere dalla disciplina, ha bisogno anche di una preparazione fisica.
«I riesco a trovare la motivazione per allenarmi fiscalmente solo nel momento in cui so che devo cominciare la stagione. La chiamata che conta è quella del settimo inning (ndr nel softball rappresenta l’ultimo tempo possibile per le squadre di segnare punti) perché se sei stanco rischi di essere poco lucido e di sbagliare.»
Quindi l’arbitro è “un atleta?
«Deve. Prendo solo a titolo di esempio pratico l’arbitro di pallavolo per far comprendere chi legge cosa voglio dire. In questo caso l’arbitro deve sostenere una tenuta fisica di un certo tipo. Stare in piedi tutto il tempo non è facile. Soprattutto non riesco a capire come fanno a giudicare con precisione le traiettorie delle palle che viaggiano velocissime. Sono bravissimi.
Nel nostro caso, essendo uno sport all’aperto come il calcio o il rugby, dobbiamo tener conto anche delle temperature perché in ogni caso facciamo un sacco di movimento in campo per arrivare in tempo a giudicare bene le azioni di gioco.
Non siamo professionisti. Facciamo questo mestiere con professionalità ma per passione. E a proposito della preparazione fisica ti racconto un aneddoto successo in palestra:
Avevo ripreso la palestra dopo il periodo invernale, e ho iniziato a fare un po’ di cyclette, quando a un certo punto parlando con il trainer siamo arrivati al discorso della mente allenata insieme al corpo. Mi ha fatto eseguire un esercizio che mi ha illuminato la mente e su quanto sia importante la preparazione fisica. In pratica ho pedalato per circa 10 minuti e al termine mi ha chiesto: “tu che hai studiato matematica te lo ricordi il teorema di Pitagora?”
Ho sorriso con sufficienza e ho risposto “Si… “, “Bene dimmelo!”, incalza lui. Ho iniziato a parlare ma non riuscivo a mettere in fila una frase di senso compiuto. Sapevo benissimo quello che dovevo dire, ma non riuscivo a farlo in modo corretto e lineare. Se il tuo corpo va in debito di ossigeno ci va anche il tuo cervello e quindi percepisci una cosa e poi ne fai un’altra.
Mi sono chiesto: come arriverò al settimo inning se mi manca ossigeno al cervello?»
LA CULTURA DELL’ARBITRO IN ITALIA
Apro un attimo una finestra all’esterno per poi tornare su di te.. In generale come ti spieghi il fatto che in Italia, riferito a qualsiasi sport, esiste questa cultura così negativa nei confronti dell’arbitro e cosa si può fare per elevare questo ruolo che senza il quale ricordiamolo non si può giocare
«Sull’argomento sono molto pessimista perché è un problema di cultura non solo italiana.
Siamo l’alibi più facile. Alle volte a ragione. Altre volte a torto. Per questo motivo non ascolto mai i complimenti a fine partita. Soprattutto dalle persone che hanno vinto. Perché la volta dopo se perdono ti dicono il contrario.
Quando guardo le partite da calcio dei pulcini al campo di fronte casa mia, sento dei commenti allucinanti. Manca la cultura sportiva. Ossia la gente non ha fatto sport in vita sua. Non sa cosa vuol dire praticarlo.
Non è un caso che nel mondo sportivo americano c’è più rispetto proprio perché è un popolo sportivo. Per carità sempre con le dovute eccezioni. Inoltre in alcune discipline ti obbligano a fare l’arbitro. Hanno apertura mentale.
Mi fanno ridere quelli che dicono nel calcio: Ma come fa a non averlo visto quel fallo?
Gli arbitri intanto stanno correndo…e devono decidere in una frazione di secondo. Dal divano o davanti a una moviola diventiamo tutti professori».
Tornando a te la partita più bella che ricordi e quella con difficoltà dalla quale sei riuscito a imparare qualcosa?
«La gara per il bronzo ai Giochi Olimpici di Pechino 2008. Una partita epica. Tre ore di partita. Ben dodici innings ( ndr nel softball sono 7 i tempi regolamentari chiamati innings. In caso di parità si va ai tempi supplementari chiamati extra-innings) Era tanta l’adrenalina che potevo stare lì ad arbitrare per sei giorni
ALTRA COMPETENZA: L’ASCOLTO
La partita più brutta ce l’ho per un episodio che mi ha insegnato come bisogna sapere quello che si dice. Torneo a Bussolengo di tanti anni fa partita tra l’Italia e Macerata.
Un arrivo a casa base di una giocatrice dell’Italia che carica il ricevitore, chiamo palla morta ed e out/eliminata ( ndr nel softball i punti si segnano toccando casa base dopo aver toccato tutte le basi del diamante. Senza entrare troppo nel tecnico ma per permetterti di seguire il gioco, nel softball non è permesso caricare il ricevitore. Motivo per cui l’arbitro ferma il gioco (palla morta) dichiarando eliminato il corridore ( giocatore in attacco che ha violato il regolamento)
Il manager dell’Italia Tonino Micheli (ndr Un po’ come dire il Berzot del calcio italiano. Portò la nazionale di Softball a un quinto posto storico ai Giochi Olimpici di Sydney 2000)si alzò dalla panchina e venne verso di me con passo lento. Molto lento. Senza urlare. Anzi, non apriva bocca e continuava con i suoi passi lenti ad avanzare verso di me. Ammetto che nel frattempo me la stavo facendo un po’ addosso. Per darmi coraggio mi ripetevo in testa: La so la so. Per intendere che sapevo già la domanda che mi avrebbe fatto alla quale ero in grado di rispondere.
Appena lui comincia a parlare non lo lascio neanche terminare e comincio a dargli la mia spiegazione: È out perché è obbligata a scivolare. Cioè avevo fatto la chiamata giusta e nella spiegazione ho detto una stupidata. Me ne accorgo dalla sua risposta: Solo perché siamo a un torneo. Fossimo stati in un campionato ti avrei fatto protesto e l’avrei vinto.
Si è girato e se n’è andato.
Nonostante avessi fatto una chiamata giusta, lui aveva vinto perché preso dalla fretta di rispondere ho dato la spiegazione sbagliata.
La risposta giusta era che non avrebbe potuto caricare in piedi l’avversario ma non è obbligato a scivolare. La regola dice che non puoi caricare non che sei obbligato a scivolare.
Ci sono stato male.
Questa lezione mi è servita per imparare un’altra competenza importante che un arbitro deve allenare: l’ascolto. Non dare mai le cose per scontate. Lasciare sempre prima parlare e rispondere con tre parole.
È stato uno dei più grandi insegnamenti.»
UN SOGNO OLIMPICO E UNO…
Hai un sogno da realizzare?
«Certo. Ho un obiettivo e un sogno. L’obiettivo è a breve termine. Il sogno a lungo termine. Un sogno grande riguarda l’anno prossimo: andare ai Giochi Olimpici di Tokio 2020
Altro sogno l’ho appena realizzato con la convocazione alle prossime qualificazioni olimpiche.
Volevo essere l’unico al mondo ad aver partecipato a 10 competizioni ISF adesso WBC ( organizzazione mondiale softball).
La nazionale di Softball, insieme all’Olanda è tra i paesi più forti in questo sport e sono sempre le due finaliste al campionato europeo. Ciò ti impedisce di mettere in bacheca l’unica finale importante che manca al tuo ricco palmares. Come la vivi da arbitro e da tifoso azzurro?
«Mi disturba un pochino (forse più di un pochino), ma d’altra parte la “colpa non è mia e non posso quindi farci nulla. Sono però contento per le ragazze e per la nazionale … almeno si tiene alto il prestigio del softball italiano.»
Se dovessi dare un consiglio a chi vuole fare l’arbitro cosa diresti?
«Scelgo di dire una cosa contro. Se uno vuol fare l’arbitro per sete di potere o per comandare qualcosa ha sbagliato tutto. L’arbitro è la persona più al servizio dello sport che ci sia. In qualsiasi disciplina.
Questo non significa che non deve farsi rispettare. Ma l’arbitro è al servizio del gioco. È una parte importante ma non è lui il gioco.
Io personalmente posso solo ringraziare questa mia passione che mi ha permesso di viaggiare, di conoscere culture diverse aiutandomi ad aprire la mente anche dal punto di vista culturale.»
Quanto conta il supporto della famiglia?
«Tutto. Grazie alla mia compagna Silvia e a mia figlia Celeste riesco ancora ad arbitrare. Con Silvia ci siamo conosciuti che già arbitravo. Ha capito la mia passione e mi ha sostenuto dandomi un equilibrio famigliare che mi permette di andare in campo sereno. Ma soprattutto mi dà la possibilità di inseguire i miei sogni e girare ancora per il mondo.»
EPILOGO: COME INCIDE L’ARBITRO NELLA PERFORMANCE
Come ho ammesso all’inizio di questa storia anche io pensavo da atleta che l’arbitro fosse un ruolo secondario. Gli ho sempre portato rispetto, ma solo oggi mi rendo conto quanto fossi stata condizionata dai miei allenatori, dai tifosi sugli spalti, convincendomi che se perdevamo le partite di certo era colpa dell’arbitro. L’allenatore lo ripeteva di continuo. Fino a quando un giorno, osservando il riassunto della partita, mi sono accorta di quanti errori avevamo commesso regalando punti preziosi alle avversarie. Allora ho iniziato a ragionare con la mia testa e ho pensato che era demerito della mia squadra se avevamo perso.
Ecco il motivo per cui, da preparatore mentale, avendo vissuto anche l’esperienza arbitrale, mi accerto sempre che i miei atleti abbiano ben chiaro il concetto che: gli unici responsabili della performance sono loro.
Certo anche gli errori degli arbitri possono incidere. Occorre solo pensare in modo diverso. Occorre pensare che l’arbitro, nel bene e nel male, fa parte del gioco. È un essere umano esattamente come l’atleta che sbaglia il rigore decisivo, o l’allenatore che non fa il cambio al momento giusto e sbaglia la strategia.
Nel momento in cui ti arrabbi per una chiamata arbitrale stai perdendo energie mentali preziose che ti servono per altro. Ci sta che tu non possa essere d’accordo. Ma ho visto atleti in pedana, sui campi perdere la concentrazione perché sono rimasti focalizzati su di lui. Si tratta di un gravissimo errore mentale.
Girando l’Italia per le diverse discipline, mi sono resa conto che tutti si lamentano della stessa cosa: ci sono pochi arbitri e tutti vorrebbero sempre quelli bravi senza avere la pazienza di aspettare e contribuire alla crescita di quelli nuovi. Soprattutto poi li vogliono già super esperti. Come se si fossero dimenticati che anche loro prima di correre hanno dovuto imparare a camminare.
Tutto questo lo si accetta per un atleta. Ma quando si tratta dell’arbitro no.
Chi si lamenta spesso non fa nulla per dare il proprio sostegno. Non comprende che senza l’arbitro non si può giocare ma lo pretende. E anche negli orari più assurdi. Negli sport minori non ci sono i compensi economici stratosferici di calcio e basket. Chi lo fa, lo fa per passione. E quindi nella vita fa altro come lavoro che ovviamente rimane la priorità.
Soprattutto non ci si rende conto che si fatica a reclutarne di nuovi proprio per un problema culturale. Riflettici: ma se non fosse per passione e per tutte quelle meravigliose competenze che puoi allenare arbitrando, ma chi te lo fa fare arbitrare se poi tanto fuori ci sono fior fior di professori che ne sanno meglio di te?
Il problema è che ai professori sugli spalti manca il coraggio di scendere in campo.
.Ogni sport dovrebbe prevedere nei programmi di abilitazione tecnica e a anche per gli atleti, la possibilità di rendere obbligatorio l’esperienza di un numero di partite ufficiali da arbitrare per dare la grande opportunità di vedere il gioco da un’altra angolazione. Lo stesso vale al contrario ovviamente con le dovute limitazioni e costruire veramente insieme uno scambio in termini di collaborazione.
Tutti gli attori di una disciplina hanno obiettivi e compiti differenti. Ma è la stessa disciplina l’oggetto in comune della passione condivisa.
ESERCIZIO – Seconda parte
Adesso ti ricordi l’esercizio proposto all’inizio dell’articolo? Bene adesso rifai lo stesso processo scrivendo per due minuti le prime cose che ti vengono in mente sul ruolo dell’arbitro. Al termine rileggi entrambi i fogli mettendoli a confronto.
Cosa noti di diverso? È cambiato qualcosa? Niente? non importa. Mi interessa che tu abbia compreso l’importanza di allenarsi a valutare le situazioni privi di ogni pregiudizio o credenza sociale limitante che non ti appartiene. Sei tu che devi formare il tuo pensiero libero da ogni condizionamento.
Buon allenamento…mentale! 🙂
Aurora
Ringrazio di cuore Gianluca per la disponibilità e il Presidente del CNA (Comitato Nazionale Arbitri) della FIBS Pierfranco Leone per aver concesso l’autorizzazione
Fabrizio Chirici
Bravo, come sempre,
puntiglioso, scrupoloso, preciso, e ficcante…
Mai improvvisato, sempre centrato in quello che fai e dici… La passione si respira nella tua voce..
Caro Magno complimenti, ti auguro con tutto il cuore di raggiungere Tokio..
Te lo dice chi ha condiviso con te l’olimpiade a Pechino…
Un caro abbaccio
Fabrizio Chirici..