Il momento di appendere i pattini al chiodo
Essere pronto è molto, saper attendere è meglio, ma sfruttare il momento è tutto.
(Arthur Schnitzler – scrittore)
Al teatro l’attore o il ballerino in scena deve rispettare i tempi di entrata e di uscita giusti altrimenti rischia di non essere coerente con la scena stessa. Lo spettatore, pur non essendo del mestiere, si accorge di questa incoerenza. Ed è disposto a lasciarla andare. Però se l’incoerenza si ripete per troppo tempo, lo spettatore perde interesse.
Allo stesso modo nello sport l’atleta o l’allenatore ha un tempo per iniziare l’attività e un tempo per concluderla senza rimpianti e con la pace dentro. Quest’ultima parte è quella più ardua da accettare per un atleta che ha vissuto l’adrenalina della sua disciplina, difficilmente ripetibile in altri ambiti. Spesso non si è mai pronti. Si tende a procrastinare il momento. Il rischio è di restare agganciati a un passato bello vissuto con intensità, che rischia di trasformarsi in un limite per il futuro.
Questo è il tema che oggi condivido con te per darti degli spunti su cui riflettere. Lo farò con Laura Corradi ex atleta di pattinaggio artistico a rotelle oggi allenatrice con cui ho avuto il piacere di lavorare qualche anno fa in un percorso di Sport Coching a distanza via Skype.
Quando Laura mi ha contattata era già un‘allenatrice a tempo pieno, mamma di due splendide bambine con un rimpianto: non aver concluso la carriera d’atleta nel modo giusto per una serie di motivi che leggerai in questo racconto. Comprende che, oltre ad essere un desiderio, è più importante fare pace con questa parte della sua vita sportiva nonostante il triplice ruolo: atleta-mamma-allenatrice. Ecco alcuni temi trattati:
✅Essere mamma-atleta-allenatrice
✅il percorso di sport coaching on line
✅ Smettere senza rimpianti
✅l’approccio nell’allenamento per i giovani
LA TELA DEL PITTORE
Quando si è immersi nella propria carriera non è semplice identificare il momento in cui appendere i pattini al chiodo. Alle volte sono anche le circostanze che ti costringono a questa scelta. In ogni caso occorre prepararsi ad affrontarla. Ecco come Laura inizia il racconto della sua esperienza prendendo in prestito come metafora un’altra forma d’arte meravigliosa: la pittura.
«Mio zio è un pittore. Fin da quando ero piccolina andavo in cascina da lui quando era immerso nel suo lavoro. Mi piaceva osservarlo mentre compiaciuto guardava la sua opera ripetendo come una litania: che bello, che bello. Lo devo ancora finire, lo devo ancora finire. Invece a me sembrava già finito. Era tutto pieno di colori.
Lui continuava a spennellare e io spazientita chiedevo:«Si ma quand’è che lo hai finito?». Lui, sconsolato allargava le braccia e mi rispondeva:
«Eh! non lo so nemmeno io. Vedi, la cosa più difficile per un pittore è capire quando ha raggiunto il massimo e quindi smettere di pitturare perché da lì è solo un peggiorare. Quando arriva quel momento me lo dice il quadro… è come se smettessi di ricevere le pennellate.»
Questa sua frase mi è rimasta in mente. Vale per qualsiasi cosa dove mettiamo il nostro impegno. Arriva un momento in cui, quando abbiamo dato il massimo, occorre smettere e voltare pagina.»
Nel tuo caso quando hai capito che era arrivato il momento di appendere i pattini al chiodo?
«Si trattava di un momento particolare. Vivevo il rimpianto di non aver proseguito il mio percorso d’atleta per una serie di ragioni. Tra queste, verso i 15 anni, ho avuto un infortunio serio. Ho tentato di proseguire ma non è stato più come prima. Dentro di me c’era sempre questa sensazione di non essere completa. Di non aver chiuso un cerchio iniziato all’età di 5 anni arrivando fino alla massima categoria: la senior. Questo mi è rimasto un po’ lì… appeso come un sogno non raggiungibile.
Ti fai travolgere naturalmente dagli eventi quotidiani e nonostante resti nell’ambiente, come ho fatto io lavorando come allenatrice, quella sensazione di essere sospesa era rimasta.
Ho cominciato quindi a considerare la possibilità di far scorrere la mia carriera sportiva su due binari: da un lato come allenatrice, dall’altro riprendere a gareggiare come atleta. Certo non era facile anche perché nel frattempo sono cambiate tante cose dal punto di vista tecnico e famigliare: mi sono sposata e ho avuto due splendide figlie. Con tutto ciò che comporta in termine di impegno e imprevisti come non dormire la notte perché sono state male.»
IL TRIPLICE RUOLO:ATLETA-MAMMA-ALLENATRICE
Pertanto Laura si costruisce una triangolazione atleta-mamma-allenatrice. Un connubio esplosivo dove si rende conto di non riuscire a dare il 100% nel ruolo d’atleta. Rispetto agli altri impegni passava in ogni caso in secondo piano: famiglia e allieve erano la sua priorità. Anche a livello mentale non si sentiva presente al massimo. Pur allenandosi tutti i giorni fisicamente eseguendo tutto il programma tecnico stabilito, la testa era sempre rivolta agli impegni di mamma e di insegnante.
A un certo punto inizia a comprendere che la sua strada sta prendendo una forma certa verso l’insegnamento, allontanandosi sempre di più dall’atleta. Di nuovo arriva il momento di appendere i pattini al chiodo. Stavolta però è differente rispetto a tanti anni fa. Laura nel frattempo si era resa conto che in questo suo percorso di atleta senior aveva bisogno di un supporto esterno. Aveva perso quella sua “freddezza” e sicurezza nell’entrare in pista. Non aveva mai avuto questi problemi. Il presentarsi con il doppio degli anni rispetto alle sue avversarie, non l’aiutava di certo.
Laura racconta:«Mi sentivo fuori luogo e con gli occhi di tutti puntati addosso. Questo mi aveva reso più insicura. Avevo perso quell’approccio freddo e distaccato alle gare che invece possedevo quando ero giovane. Ho capito che avevo bisogno di un supporto esterno che mi aiutasse ad affrontare questa fase inaspettata della mia carriera. Cercando un mental coach sportivo ho trovato te e dopo una primo contatto ho scelto di seguire questo percorso di sport coaching on line. La gestione di uno sportivo in Italia che è mamma e lavoratrice non è contemplata. Riguarda tutte noi donne e nel momento in cui decidi di mettere su famiglia diventa tutto complicato.»
Come ti piacerebbe essere aiutata come mamma-atleta/allenatrice?
«L’atleta mamma si deve rimettere anche in forma. Non è immediato recuperare tutto. L’approccio mentale alla vita quotidiana perché oltre a svolgere attività da mamma, da lavoratrice ha anche la sua vita agonistica. Per noi donne è naturale dare delle priorità ai figli e in caso da allenatrice alle proprie allieve. Occorre però darci delle possibilità per conciliare tutto al meglio che possiamo. »
(ndr)NOTA: Proprio in questi giorni ASSIST (Associazione Nazionale Atlete) grazie al gran lavoro della sua presidente storica Luisa Rizzitelli, è riuscita dopo quasi 20 anni a coinvolgere la politica nell’approvazione di una legge che finalmente tutela il diritto delle mamme-atlete. È stato previsto un fondo economico dedicato per aiutarle a rientrare in carriera dopo il parto. Una svolta epocale perché mette la donna nelle condizioni di potersi costruire una famiglia senza dover scegliere di rinunciarvi per la carriera e viceversa.
IL PERCORSO DI SPORT COACHING ON LINE
In cosa ti è stato utile questo percorso svolto a distanza in modalità on line via Skype che comprendeva entrambi i ruoli: atleta e allenatore…
«Non ho avuto nessuna difficoltà con l’approccio on line, pur non avendo mai utilizzato Skype. È come allenarsi direttamente. La prima cosa che mi viene in mente di utile è stata aver imparato l’autoanalisi della prestazione con il modello S.F.E.R.A.© soffermandosi sui Punti di Forza e rinforzandoli. Spesso si ha l’abitudine di darli per scontati e vengono sotterrati dalle carenze dove ci si sente vulnerabili.
Mi porto anche la consapevolezza di essere stata guidata a tenere i due ruoli separati: atleta e allenatore. Tendevo a mischiarli e questo creava confusione anche per le rispettive performance. Poco alla volta sono riuscita a mettere in pratica questa separazione e a mantenerla. Ancora oggi mi capita spesso, durante la giornata, di avere dei flash su quello che ci siamo dette. Anche in momenti non sportivi perché magari mi ritorna utile mettere in pratica uno strumento che abbiamo allenato insieme. E avendo vissuto quest’esperienza su di me, mi sono resa conto che riesco a trasferirlo con facilità anche alle mie allieve.
Ad esempio il restare focalizzata sugli errori commessi durante la gara non è funzionale alla prestazione. E quando un’atleta mi racconta la sua paura di sbagliare o di gestire l’errore, avendo vissuto in prima persona la stessa esperienza ma soprattutto conoscere il “come” superarla, riesco a dargli quel qualcosa in più che va oltre all’aspetto tecnico o al semplice dirgli:“non pensare all’errore”. Riesco quindi a mettere in evidenza i loro punti di forza.
E anche nel modo di argomentare la correzione. Usando i metodi appresi si riesce a catturare la loro attenzione e collaborazione ottenendo risultati migliori rispetto a una metodologia basata sul “martellare” costantemente sull’errore con una comunicazione sbagliata. Le atlete vanno via dalla palestra più contente. Soprattutto mettono in pratica subito la correzione.»
IL RUOLO DELL’ALLENATORE NELLE GIOVANILI
Laura mi racconta che da qualche tempo il pattinaggio artistico a rotelle sta vivendo l’integrazione di alcune metodologie provenienti da altre discipline come ginnastica ritmica, danza e pattinaggio sul ghiaccio, dove la scuola russa come approccio è noto sia totalmente diverso.
«Credo che il ruolo dell’allenatore giovanile» prosegue Laura « sia molto delicato. Occorre trovare un giusto equilibrio tra allenare i bambini anche piccoli con una certa serietà di impegno perché in molte discipline, come la nostra ad esempio, se non cominci da così piccolo è tanto difficile arrivare al risultato. Questo non significa portare all’estremo gli allenamenti. Significa trovare il modo di ottenere l’attenzione e l’impegno dei bambini stimolandoli al gioco, insegnandoli le parti tecniche e allo stesso tempo ricreare una motivazione equilibrata che permetta loro di continuare ad avere gli stimoli giusti per svolgere l’attività agonistica anche ad alto livello.
Occorre anche prendere in considerazione l’ambiente e il tipo di cultura. In Russia magari ci sono migliaia di praticanti e possono permettersi il lusso di “spremere” i bambini per ottenere risultati eccellenti subito. In Italia è diverso. Si parla di numeri inferiori. Soprattutto ogni cosa deve conciliare con impegni scolastici, logistici e famigliari. Si possono prendere spunti da un modello e riadattarli alla propria realtà.»
COME RICONOSCERE IL MOMENTO GIUSTO DI SMETTERE
Lo sport regala emozioni difficili da replicare in altri contesti. Tanti atleti, sia che abbiano vinto titoli o meno, faticano a trovare il momento giusto di smettere o non accettano questa parte della loro carriera. Ecco il punto di vista di Laura:
«Per gli atleti che hanno raggiunto il massimo hanno rinunciato a tante cose nella vita dedicandosi solo allo sport. La loro vita è… lo sport: essere impegnato negli allenamenti, andare via per le gare. Tutto ruota attorno a lui ed è difficile uscire da questo mondo perché significa cambiare totalmente vita. Tante volte osservo campioni di qualsiasi disciplina e sono dispiaciuta per loro nel vederli proseguire una carriera ormai alla fine. Mi chiedo come mai non hanno smesso nel momento in cui erano al top.
È difficile. Molto. Specialmente quando la tua identità, le tue amicizie, le tue conoscenze sono legate principalmente all’ambiente sportivo. Pertanto nel momento in cui smetterai dovrai trovare all’interno un altro posto. Ma non sarà più la stessa cosa. Non sarai più atleta. Cambia tutto. Pur frequentando le stesse persone – atleti e allenatori-, cambia il tipo di relazione. La fatica è ritrovare un tuo posto.
Riconosci il momento giusto di smettere quando dall’altra parte trovi qualcosa che ti appaga allo stesso modo. Oppure quando vedi che non ce la fai più e getti la spugna. Questo è il modo peggiore. Se uno smette in tranquillità consapevole che la vita di atleta ti ha portato in una nuova strada che ti gratifica, riesci a smettere con serenità.»
Occorre quindi un passaggio graduale e prepararsi per tempo a questo cambio di vita che può essere davvero scioccante.
«Si perché magari ci sono atleti che non si aspettano di vincere la gara importante. Poi cercano di ripetersi senza riuscirci e devono fare i conti con questa nuova strada. Altri hanno avuto un grave infortunio. Oppure cambiano le condizioni ambientali che lo circondano: il lavoro, la scuola perché come in tutti gli sport minori, se poi non si riesce a reinserirsi come allenatori, preparandosi il terreno con dei corsi di formazione, devi cercare un lavoro che sia qualcos’altro. Ma anche qui, se non ti sei preparato diventa tutto molto complesso. In entrambi i casi è difficile mantenersi come atlete e allenatori in questi sport ma non impossibile.»
Come allenatrice hai un nuovo sogno da realizzare?
«Il mio sogno è contribuire a creare una bella squadra. Poi c’è un altro sogno olimpico. Nel senso che la nostra federazione la FISR è una federazione olimpica ma non tutte le discipline sono inserite nel programma. Purtroppo il pattinaggio artistico come specialità al momento è fuori.»
Cosa ti ha insegnato il pattinaggio?
«Premesso che ho iniziato da piccola quindi non ricordo come mi sono appassionata al pattinaggio. Anche se nei momenti di crisi ho praticato altre discipline ma nessuna di queste mi dava le emozioni dei pattini a rotelle. Di certo se dovessi raccomandarlo a qualcuno posso dire si tratta di uno sport che insegna la disciplina, rispetto delle regole, rispetto degli avversari e a mio modo di vedere un autocontrollo difficile da ritrovare in altre discipline.
In appena tre o cinque minuti ti giochi tutta la stagione agonistica. Ti mette davanti a tantissime difficoltà e inconvenienti e sei così abituata ad affrontarli che mi sono accorta ripeto le stesse strategie anche nella vita. Non ti so dire se è dovuto al mio carattere o al carattere plasmato dallo sport. Se sei in pista e ti succede un imprevisto, sei davanti a 200 persone e a 5 giudici. Di certo devi risolvere tutto in pochissimo tempo. Una competenza nel problem solving che con naturalezza ti porti anche all’esterno.
Poi la cura del corpo, dello stile di vita da tenere perché devi essere in forma, condurre una vita sana, disciplinata andare a letto presto per raggiungere un risultato che non è detto arrivi. Ti porta quindi ad accettare le sconfitte. Nel pattinaggio quando cadi giù davanti a tutti devi rialzarti subito e fare i conti con il giudizio.»
CADERE È PIU’ UMILIANTE CHE BUTTARE FUORI UNA PALLINA
«Il fatto di cadere non è la stessa cosa di buttare una pallina fuori. Dal mio punto di vista l’atto di cadere è più umiliante. Pertanto devi farti forza per rimetterti in gioco. Un altro aspetto fondamentale è la costanza. Se smetti come ho fatto io recuperare è molto più difficile. Infatti ciò che ho appreso dal mio percorso e cerco di trasmettere alle mie allieve anche se state attraversando un momento di crisi non smettete. Pensate a tutti gli anni che avete impiegato per raggiungere il livello dove siete arrivate. Nel momento in cui si smette si butta via tutto.
La costanza è stringere i denti nei momenti in cui non avresti più voglia è un altro aspetto che ti insegna uno sport come il pattinaggio.»
Cosa ti piace nel tuo lavoro di allenatrice e cosa rappresenta per te il tuo atleta
«Prima di tutto mi piace stare in pista e trasmettere le mie sensazioni sia tecniche sia emotive in un bambino che ancora non le ha conosciute e aiutarlo ad appassionarsi. Io ci credo nel pattinaggio. Se mi dovessero chiedere qual è lo sport più bello del mondo io rispondo il mio. (ndr vale per qualsiasi atleta di ogni disciplina). Non ho rimpianti di non aver praticato altro.
Insegnare poi è una sfida continua. Devi adattarti ai caratteri, ai livelli. Insegno ai bambini che all’inizio hanno le ruote bloccate come quelle che invece pattinano da 15 anni e fanno i massimi campionati. Mi piace la competizione, mi piace alle volte dimostrare che con il lavoro dettagliato i risultati si ottengono e non con l’essere approssimativi. Mi piacciono tutti questi componenti che poi costruiscono il puzzle dell’allenatore. Non è solo entrare in pista e correggere gli errori tecnici. Tutto ciò che ruota attorno a questo ruolo mi piace: l’organizzazione degli allenamenti, vivere anche la squadra, le trasferte, i campionati.»
In pratica fare in modo di accendere la passione ai piccoli…
«Si perché nel mondo attuale è diventato più difficile appassionarsi a qualcosa. Oggi, rispetto alla nostra generazione, ci sono più distrazioni o alternative facili. Creare intorno al bambino un’ambiente che lo appassioni passando dal mettere i pattini al condividere con gli amici le trasferte, creare tutto questo è la passione dello sport. Non è solo il fatto di mettere il pattino e pattinare. Soprattutto il genitore che non ha fatto lo sport a livello agonistico non ha la volontà o l’interesse di lasciare il tempo al bambino di appassionarsi. Anche il genitore ha un ruolo fondamentale.»
Come ci sono anche gli estremi di genitori che impongono lo sport al figlio…
»Ma in questo caso non si appassiona. Lì non è la passione del bambino ma del genitore che magari avrebbe voluto praticare quella disciplina. Occorre seguire le inclinazioni dei figli. Non gli fai smettere pattinaggio ad esempio perché la palestra si trova a 3 km di distanza da casa e scegli di fargli fare ginnastica sotto casa perché è più comodo. Anche la disponibilità al sacrificio dei genitori è diversa rispetto al passato perché oggi di certo la vita lavorativa e famigliare è più impegnativa. Comprendo che anche spostarsi di quei 3 km diventa un problema. Alle volte la passione di un bambino viene bruciata da un genitore che non è disposto a fare sacrifici. Ci vuole un po’ tutto: la famiglia fuori giusta ma non esagerata, il bambino, la squadra, l’allenatore.»
EPILOGO
Se segui qualcosa che ti scombussola ti conviene andare sino in fondo. Se fai finta di niente, non saprai mai che cosa ti sarebbe potuto succedere, e per molti versi questo è peggio che scoprire di esserti sbagliato sin dall’inizio. Perché dopo uno sbaglio puoi continuare a vivere, ma se non altro non hai il rimpianto di non sapere come sarebbe potuto andare.
(Nicholas Sparks- scrittore)
La storia di Laura ci ha regalato una finestra privilegiata da dove osservare con distacco la voce del rimpianto. Una voce conosciuta a tutti noi che spesso sotterriamo convinti di essere chiusi in una prigione mentale senza barriere. Appunto sono barriere mentali fatte di: ormai è troppo tardi, cosa penseranno di me,
Se abbiamo fatto una scelta consapevole, non ci può essere mai un rimpianto. Ecco perché è importante chiudere i cerchi con serenità.
Ricordo che un cerchio aperto è uno spreco di energie fisiche e mentali sottratte ad altre attività più utili.
Ringrazio con affetto e stima profonda Laura perché è una grande bella persona e svolge il suo ruolo di allenatrice con scrupolo, dedizione, passione e una grande professionalità mettendo al centro le sue allieve prima di tutto come persone e poi come atlete. Grazie di cuore!!!
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(foto personali di Laura Corradi per qualsiasi segnalazione si prega di inviare una mail a info@auroracoaching.it. Altre foto tratte da google. Quest’intervista è stata verificata e approvata dall’interessata)
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