“La forza non deriva dalle capacità fisiche, ma da una volontà indomita.
Mahatma Gandhi
La forza cos’è? Sono quasi certa che appena hai letto la parola, ti sia venuto naturale associarla all’aspetto fisico. Ma ne esiste una più profonda, intensa, invisibile che prende vita grazie all’azione del corpo ma senza la quale non può assolutamente prendere forma. Difficile da spiegare qualcosa che non puoi toccare. Puoi percepirne solo l’essenza. Poiché per costruirsi una mentalità vincente occorre attingere da diverse risorse, oggi vorrei parlarti della forza interiore e di come trasformarla in azione.
Lo farò raccontandoti la splendida storia della ginnasta Marta Pagnini, ex capitano della Nazionale di Ginnastica Ritmica due volte campionessa del mondo, medaglia di Bronzo alle Olimpiadi di Londra 2012 e quarta a quelle recenti di Rio 2016 con la quale ha chiuso una carriera fatta di tante soddisfazioni che spesso si sono incrociate con una serie di sfortunati eventi. La forza interiore di Marta, è stata la sua carta vincente. Da dove nasce? Come si fa a riconoscerla materializzandola all’esterno? Prenditi il tuo tempo, leggi con attenzione la sua storia, e sono sicura che le sue parole ti verranno in aiuto per trovare le risposte che stai cercando.
Prima ti invito a guardare questo breve video (durata 2:10) per presentarti Marta e il mondo della Ginnastica Ritmica.
La forza interiore e la forza esteriore
L’inizio
Marta si avvicina per caso alla ginnastica quando un giorno la mamma decide di portarla in palestra, in quella società dell’Etruria Prato che è stata anche quella del signore degli anelli: Juri Chechi . All’inizio nei primi tre anni, sembra tutto facile: Marta vinceva molte gare, ha successo, è consapevole di essere apprezzata anche a livello nazionale, tant’è che viene subito inserita nei gruppi di allenamento tra le ginnaste d’élite. Si sentiva molto motivata. Quando tutto sembra fluire verso la direzione giusta, all’improvviso comincia un periodo molto buio nel momento in cui la sua prima allenatrice molto severa, ha cominciato a farle vivere la ginnastica come un peso. Sentimento condiviso anche con le altre sue compagne di squadra molte delle quali poi hanno lasciato la ginnastica. Marta entra in crisi e riesce a trovare sollievo quando l’allenatrice va via. Solo che da questo momento, suo malgrado, non riesce ad allenarsi come vorrebbe perché nella società si susseguono una serie di allenatori che non le danno stabilità tecnica ed emotiva considerando la sua giovane età, appena tredicenne. Tutto sembra risolversi grazie all’arrivo di un’allenatrice dalla Russia, la nazione più prestigiosa in questa disciplina, grazie all’impegno della mamma Grazia, che nel frattempo sollecitata dalla stessa allenatrice, era diventata consigliere della società. Marta si affeziona tantissimo a Eugenia, la nuova allenatrice russa. Sembra andare tutto bene quando dopo appena tre mesi ritorna a casa e lei si sente nuovamente abbandonata in un percorso in cui era rimasta da sola a praticare ginnastica senza compagne di squadra. A quel punto voleva smettere. Si rendeva conto che aveva perso tanto tempo, ed era rimasta indietro tecnicamente con un livello non adeguato alla sua età. Non si sentiva più in grado. Finché è arrivata la salvezza: Olga, russa anche lei, che riparte da zero e le insegna tutto, portandola avanti tecnicamente anche se ancora gli allenamenti erano pochi vista la mancanza di spazi e orari, Marta era costretta ad allenarsi una volta solo al giorno, troppo poco per fare un lavoro di alto livello recuperando il tempo perduto. Dopo qualche anno la svolta: si trasferisce ad Arezzo al centro tecnico regionale della federazione, dove oltre ad essere seguita da Olga c’è una delle più grandi allenatrici: Rosi Manola. Lei, Olga, Susanna, Irene, e altre persone in quel momento hanno creato finalmente la sua nuova famiglia sportiva dandole stabilità tecnica e soprattutto emotiva.
Tu la squadra non la farai mai
“Ti immagini Marta in squadra?” disse la sua prima allenatrice ridendo…quella severa per intenderci, rivolgendosi alla sua collega incurante della presenza della giovane atleta, che stava ascoltando quelle parole incredula di così tanta cattiveria. Che diritto avevano di trattare così il suo desiderio di far parte della squadra regionale? “Tu la squadra non la farai mai”, fu la risposta cui seguì l’esclusione dalla squadra.
A 17 anni Marta si prende una bella rivincita, entrando in nazionale, nella prestigiosa Accademia di Desio dove ha la possibilità di allenarsi con Emanuela Maccarani, l’allenatrice più vincente della storia della ritmica sia italiana che internazionale. Anche qui però le cose non sono facili. Al centro ci sono 11 ginnaste divise in due gruppi: le titolari che si stanno preparando per le Olimpiadi di Pechino 2008 e le riserve. Marta fu convocata per il periodo di prova insieme a Julieta Cantaluppi, la migliore delle individualiste italiane del momento. Una ginnasta molto veloce nell’apprendere. Marta molto più inesperta pensava che non sarebbe mai stata scelta visto che solo una ginnasta sarebbe entrata. Quando Emanuela Maccarani le disse che si sarebbe potuta trasferire a Desio perché sceglieva lei, fu una grande sorpresa ed una gioia infinita.
“I primi tre anni per me sono stati molto difficili. Li ho vissuti malissimo, ero molto triste. Con le compagne di squadra mi trovavo molto bene ma nello staff tecnico c’erano alcune persone ostili che ostacolavano il mio percorso che nel corso del tempo per fortuna furono cambiate. Pur vedendo che Emanuela mi dava molta fiducia, ogni volta che arrivavo al punto di entrare titolare mi succedeva sempre qualcosa: diversi infortuni alle ginocchia, la mononucleosi, poi un problema serio alla schiena. Stavo veramente male e questo esternamente non si vedeva perché io cercavo comunque di essere positiva e nonostante le mie condizioni, cercavo di aiutare qualche mia compagna in difficoltà perché questo mi rendevo conto che mi faceva stare bene e mi tirava su di morale, ma era tutto molto faticoso”.
Il cambiamento
Ad un certo punto Marta si stanca di questo suo modo di approcciarsi alla ginnastica e decide di cambiare completamente atteggiamento mentale, vivendo questa sua passione con serenità e leggerezza. Le cose ben presto cominciano a cambiare. Quell’anno conosce tante persone, fra cui il suo fidanzato Piero, e si dà l’ultima chance per tentare di entrare tra le titolari. Se non ci fosse riuscita, avrebbe smesso perché ad un certo punto della vita occorre fare delle scelte. Inutile insistere perdendo tempo. Così proprio quando l’epilogo sembra arrivato, Marta realizza il sogno, diventa titolare, passando due anni bellissimi che la porteranno prima al titolo mondiale e poi alle Olimpiadi di Londra vincendo una medaglia di bronzo. A questo punto avrebbe potuto smettere, ma dopo tutto quello che aveva sofferto per essere lì, sentiva che ancora non aveva dato tutto alla ginnastica. Aveva un buon feeling con le sue compagne di squadra e c’erano i presupposti giusti per continuare fino a Rio 2016. Diventa nel frattempo il capitano ereditando il ruolo proprio a Londra con il ritiro di Elisa Santoni.
“Quando pensavo che le cose ormai sarebbero potute andare più facilmente per il verso giusto, il quadriennio olimpico si presenta ancora peggio rispetto alle sofferenze del passato: ogni anno ho avuto un grave problema famigliare e mi sono trovata sempre a dover superare qualcosa. Ho iniziato il 2013, tra l’altro un anno bellissimo dal punto di vista sportivo per la bella intesa con le compagne ed i successi sportivi, con la malattia di mia mamma a cui viene diagnosticato un tumore al seno. Ero molto preoccupata e, per una strana coincidenza, il ciclo di chemioterapia a cui doveva sottoporsi, coincideva sempre con qualche gara importante. Vedevo che soffriva e non potevo essere accanto a lei. Per assurdo, nonostante le mie preoccupazioni, io davo ancora di più alle altre. In quanto capitano, il pensare di non potermi concedere il lusso di farmi vedere che stavo male, mi dava la forza di reagire. Sono convinta che se fossi stata a casa a rimuginare sulla mia sofferenza, sarebbe stato peggio. Avevo la responsabilità di altre cinque persone per le quali ero il punto di riferimento per tutto il lavoro che stavamo facendo. Questo mi permetteva di non restare troppo focalizzata sui problemi e riuscivo a pensare ad altro. Certo è che avevo dei momenti in cui scoppiavo però comunque in palestra ero sempre presente e attiva. Poi mi dicevo che non potevo farmi vedere persa né dalle ragazze, né da mia madre che faceva un grande sforzo per venirmi a vedere alle gare. No, dovevo assolutamente reagire. Poi le cose si sono aggiustate, mia madre ha cominciato a stare meglio e quando tutto sembrava ritornare alla normalità, a distanza di un anno l’uno dall’altro, muoiono i miei nonni materni a cui ero molto legata perché ho trascorso con loro moltissimo tempo durante la mia infanzia. Mentre per mio nonno ho potuto assistere a tutto il decorso della malattia, per mia nonna è stato diverso. L’avevo vista l’ultima volta a Giugno 2016 che stava bene, poi partita per il ritiro in preparazione delle imminenti Olimpiadi non l’avevo più incontrata. Proprio mentre varcavo la soglia del villaggio olimpico di Rio, mia madre mi chiama dandomi la notizia”
Ancora quindi un duro colpo per Marta e nel momento più importante della sua vita sportiva: la sua seconda olimpiade con il sogno di conquistare un oro che tanto avrebbe meritato la Squadra nazionale italiana. Com’è possibile superare dal punto di vista psicologico, un momento così difficile emotivamente nel giorno della gara più attesa? Si aggrappa a quella che oramai è diventata la sua strategia mentale, il suo punto di forza: reagisce.
“In un primo momento sono scoppiata perché dopo lo stress del viaggio ricevere questa notizia appena arrivata, era devastante. Siamo andate subito ad allenarci e come avevo già fatto in passato mi sono detta: sono qui, sono alle olimpiadi, sono responsabile per le mie compagne, devo assolutamente reagire, perché loro contano su di me. E così è stato. Sicuramente se sono riuscita in questi anni a superare tutte queste difficoltà lo devo alle persone che mi sono state sempre vicino. Prima di tutto ai miei genitori che mi hanno sempre insegnato a non mollare mai, ad andare sempre avanti e mi sono stati accanto sia quando le cose andavano bene, sia quando andavano male, insegnandomi il giusto comportamento da tenere. Sono stati per me un esempio da imitare perché loro per primi sono così. Mi ritengo molto fortunata perché mi rendo conto che oggi ci sono tanti talenti che si perdono lungo la strada, proprio per non avere dei punti di riferimento così solidi. Anche nei momenti più terribili, come quelli di inizio carriera con quell’allenatrice severa, mia mamma non le ha mai dato torto davanti a me. Mi ha sempre detto di concentrarmi su quello che io ero in grado di cambiare, di fare meglio. E io mi arrabbiavo, perché non capivo come mai non desse ragione a me. Poi mi sono resa conto che era il comportamento giusto che doveva tenere. Magari poi ci andava a parlare senza che io lo sapessi, ma davanti a me non ne ha mai parlato male.
Poi ci sono state anche le mie compagne di squadra con le quali condividevamo le nostre vite tutti giorni che mi hanno aiutato. Sicuramente non è paragonabile al supporto che ho ricevuto dalla mia famiglia e poi dal mio fidanzato”. Certo, la squadra di Rio è ancora fresca nel mio cuore, Camilla ad esempio , una delle mie migliori amiche,adesso abita insieme a me.”
L’amore per la ginnastica, la squadra e l’ultima gara di Rio
“In uno sport dove non c’è guadagno, quando lo pratichi lo fai esclusivamente per passione. Se ti rende felice andar in palestra, si crea una sorta di dipendenza positiva impagabile. Già solo per questo motivo consiglierei ad una bambina di fare ginnastica partendo dal presupposto che nel bene o nel male devi accettare il giudizio. Non è semplice accettare un risultato sportivo insoddisfacente quando si è certi di avere dato il massimo! Adesso sto studiando per diventare giudice, e forse mi renderò conto di quanto sia difficile giudicare un esercizio. Sicuramente ci sono anche in gioco situazioni che hanno poco a che fare con la prestazione sportiva, ma a lungo andare si diventa più forti e ci si allena a non mollare e a non farsi sopraffare dalla delusione. Ogni gara è una storia a sé. Ad esempio a Rio, nonostante fossimo state penalizzate al solito più del dovuto rispetto ad altre nazioni, l’ho vissuta bene. Non ero troppo delusa. Ero appagata perché visto anche il dolore personale per la recente perdita della mia nonna, avevo dato il massimo. Ero contenta della gara, della squadra. Avevo dato il massimo e questo era un grande risultato! Ero soddisfatta di aver concluso la mia carriera così: due olimpiadi e una medaglia di bronzo a Londra 2012. Alcune delle mie compagne l’hanno vissuta malissimo ed è comprensibile.
Cosa rappresentano le mie compagne? Le vedevo in pedana come una riproduzione di me in ognuna di loro, cioè io mi sentivo un pezzettino in un ognuna di loro. Questo perché quando sei in cinque che condividi lo stesso obiettivo della gara e sulla pedana devi sincronizzarti con le altre in ogni singolo movimento, è normale che poi si diventa un tutt’uno: è come se fossi tu riprodotta in cinque. Quando le ho riviste la prima volta a Desio dalla tribuna è stata una sensazione bella, mi sentivo in pedana con loro. Io ho smesso di fare ginnastica al momento giusto, senza nessun rimpianto e quando posso sto loro vicino perché comunque le sento sempre come la mia squadra”.
Cosa hai detto ad Alessia Maurelli quando le hai passato il testimone di capitano?
“Che sarei stata sempre al suo fianco, che poteva contare sempre su di me in qualsiasi momento perché so quanto sia duro sostenere questo ruolo”
Il rapporto con l’allenatrice della nazionale: Emanuela Maccarani
“Forse ho la presunzione nel pensarlo, ma ho questa sensazione, che il mio rapporto con Emanuela, sia stato speciale e ne vado orgogliosa. Credo che in tutti questi anni abbiamo avuto un’intesa non solo tecnica ma anche umana. Certo ci sono stati momenti difficili, perché anche lei ha il suo carattere come giusto che sia. Un carattere che l’ha portata ad avere grandi risultati. E’ stata una di quelle poche persone delle quali mi sono fidata perché sentivo di avere la sua preziosa stima. Mi ha formata tecnicamente ma ha saputo starmi accanto in momenti difficili, non ultimo quello di Rio dopo la vicenda di mia nonna,credo lei stessa non sappia quanta forza mi ha dato in quella circostanza. Come ha scritto nel suo libro Questa squadra, insegnare è il miglior modo per imparare ed è vero. Si capiva che quando insegnava dandoci dei consigli, si arricchiva anche lei vedendo noi seguirli a nostro modo. Ecco io credo che un bravo allenatore, come lo è lei, deve avere l’umiltà di vedere che dalle sue atlete può imparare ed arricchirsi. Questa non è una cosa scontata. Un allenatore presuntuoso questa cosa qui non la pensa. Lei invece sì. E adesso che anche io faccio degli stage insegnando alle ginnaste piccoline, cerco di emulare questo suo pensiero. Anche se ancora non lo faccio a tempo pieno, perché per adesso il mio obiettivo principale è diventare giudice, mi piace insegnare. Mi piace l’idea di riuscire a trovare un modo per comunicare con le giovani atlete. Mi rendo conto di essere molto esigente non dal punto di vista tecnico, ma da quello psicologico perché mi spiace quando vedo delle ragazze giovani che trattano con superficialità i loro sogni, quindi ho come l’istinto di doverle salvare, che alle volte è molto sbagliato, perché anche se sei in buona fede, mi sono trovata in situazioni negative dove la persona in realtà non voleva essere salvata. Quindi ho imparato la lezione”.
Il futuro e la filosofia di Marta
Oltre all’obiettivo di diventare giudice, Marta adesso può coltivare a tempo pieno una delle sue più grandi passioni: studiare. Infatti è iscritta al corso di laurea Relazioni Internazionali per imparare altre lingue oltre quelle che conosce già, come il russo e l’inglese. Inoltre da qualche tempo viene chiamata anche come speaker nelle aziende per raccontare la sua storia.
“Quello di parlare agli stage aziendali è un’esperienza che mi piace molto. Metto a disposizione di chi ascolta la mia storia sportiva, vedo che le persone sono interessate e ne traggono spunto. Credo che li colpisca oltre allo sport, il fatto che sia tanto giovane e con tante esperienze da raccontare, per me è una cosa bellissima perché so che posso essere d’aiuto a qualcuno anche in ambiti diversi. Ritorniamo sempre quindi al discorso di prima che mi piace “salvare le persone”
( ridiamo)
“C’è molta invidia nell’ambiente sportivo, come del resto in tutti i settori in cui la competizione è molto forte, ma io sono per la pace. Anche il mio peggior nemico se mi dice troviamo insieme una soluzione anche senza chiedere scusa, per me va bene. Anzi quando succedono eventi spiacevoli, mi chiedo sempre dove ho sbagliato, nonostante abbia questo carattere forte, dentro di me cerco sempre l’errore mio per prima cosa. Però mi sono anche resa conto che se voglio andare avanti, in qualsiasi ambito della vita, devo imparare ad accettare che qualche volta anche l’amico potrebbe diventare un nemico. “
Epilogo
” Sii sempre come il mare che infrangendosi contro gli scogli trova sempre la forza di riprovarci”
Jim Morrison
La storia di Marta me la immagino così, come l’onda di un mare impetuoso che non si ferma davanti agli scogli insensibili della giovane età, mettendo a dura prova la sua resilienza. Ma i sogni sono più forti di un ostacolo oscuro che cerca in tutti i modi di farti desistere. Anzi, paradossalmente ogni volta che uno di loro si infrange contro di essi, quando sembra che tutto sia perduto, si accende una piccola luce che illumina nuovamente il percorso brutalmente interrotto, lasciando lo scoglio al suo triste destino, di rimanere lì, fermo immutabile senza avere la possibilità di cambiare direzione. Chi è più forte tra lui e il sogno?
Ora anche tu sicuramente avrai già incontrato altri scogli simili e avrai il tuo modo di raggirarli. Ciò che più conta è che tu creda profondamente di possedere questa forza nascosta da qualche parte dentro di te…sempre. Alle volte la tiri fuori per caso e non sai il perché. Altre volte invece la cerchi disperatamente ma non si fa vedere. Tranquillo, non ti ha abbandonato. Soltanto LEI sa quando è il momento giusto per entrare in scena.
Devi solo fidarti…di lei.
FINE
Ringrazio veramente di tutto cuore Marta Pagnini che aprendomi il suo, mi ha messo nelle condizioni di scrivere questo breve racconto per lei a beneficio di tutti coloro che sono alla ricerca della forza perduta.
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Grazie per la fiducia 🙂
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(foto di copertina Ginnasticaritmicaitaliana.it, altre immagini tratte da Google)
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