Samantha Cristoforetti – L’importanza di sognare sempre in grande
“Siamo una stella cadente: se fosse notte, qualcuno, forse, ci vedrebbe ed esprimerebbe un desiderio.”
Samantha Cristoforetti – Astronauta
«Tu sogni la luna, caro mio! Lascia perdere non ci riuscirai mai»
Quante volte ti sei sentito rispondere così dopo aver dichiarato il tuo sogno? A quel punto hai deciso di smettere di sognare.
Forse è il caso di conoscere la storia dell’astronauta Samantha Cristoforetti. Di chi sognava da bambina un giorno la luna e ci è riuscita!
Come dichiara lei stessa… non era neanche sicura di farcela. Ma poco importava.
Il sogno le serviva come motivazione per scegliere la strada giusta.
Parlo volentieri di questa storia perché tra i sogni catalogati nella sezione impossibili, penso che sognare la luna sia il più assurdo da desiderare. Ma se qualcuno ci è riuscito…tanto impossibile poi non sarà. Non ho detto che sia facile. Certo, ci vuole anche una buona dose di fortuna, essere bravi a sapersela creare e a cogliere le opportunità al volo. Dico solo di concedersi la possibilità di provarci. Tutto qui.
Prima di proseguire nella lettura, ti invito a prendere carta e penna e a ripensare a un sogno che hai già realizzato da tempo. Quando lo hai trovato, scrivi di getto, senza pensarci troppo ( non importa che sia scritto bene… importa che scrivi e basta 🙂 ), cosa hai realizzato, quando tempo fa e le sensazioni che hai provato.
Fatto? Ottimo. Adesso comincia la storia e ti prego di prestare molta attenzione all’approccio mentale con il quale la protagonista decide un giorno che, volare nello spazio sarebbe stata la sua vita.
L’inizio
Quando mi arriva la email che, all’evento WeWorld Onlus di Milano, associazione che promuove e difende i diritti contro la violenza sui bambini e sulle donne in Italia e nel Mondo, ci sarà l’astronauta Samantha Cristoforetti, un sorriso accompagna la mia testa che oscilla a destra e a sinistra nella musica dell’incredulità.
È la fase che amo di più quando so che sono a un passo dal realizzare un sogno. Si perché anche Samantha era nella mia lista da un po’ di tempo. Si ho una lista… e anche abbastanza lunga. Non meno di 101…tu no? Allora caro amico/a sei proprio nei guai. Ma andiamo avanti con la storia. Ti raccontavo del sogno di incontrare la Cristoforetti. Ma non sapevo mica quando si sarebbe avverato. Sapevo solo dentro di me che un giorno ci sarei riuscita.
Mi godo il momento quando a certo punto mi do una scossa e mi dico:«Si, ma fino a quando non clicchi sulla prenotazione, potrai vederla solo sulla copertina del suo libro.» Dalla luna, è il caso di dirlo, ritorno con i piedi per terra per entrare in azione con il corpo… cioè strimpello con le mie manine la tastiera del pc come fosse quella di un pianoforte e procedo con la prenotazione. Sono attimi di tensione. Giuro. Trattengo il respiro come se fossi in apnea. Temevo non ci fosse più posto. Invece tutto fila liscio. Ho il mio biglietto.
Arriva il gran giorno c’è tanta gente all’ingresso. Molti rischiano di rimanere fuori. Io no. Sono la prima ad entrare e trovo un ottima posizione tra le prime file oltre a quelle riservate. Mi godo anche questo… di momento: l’attesa. Quella infinita unità di tempo che trasforma un sogno astratto in realtà e le emozioni in un gigantesco luna park. E poi finalmente arriva lei: il capitano Samantha Cristoforetti. La prima donna italiana ed europea ad aver partecipato a una missione nello spazio. Ha il passo sicuro e deciso. Indossa una maglietta rossa con il distintivo dell’Agenzia Spaziale Europea. Distribuisce dei gran sorrisi ai bambini seduti in prima fila che sgranano gli occhi curiosi. Probabilmente è la prima volta che vedono un’astronauta dal vivo. Anche io. E mi sento tornare bambina insieme a loro: lo stato mentale migliore con il quale siamo nati e che una volta cresciuti, perdiamo nel traffico quotidiano delle cose inutili.
Samantha comincia a raccontare la sua avventura nello spazio, partendo proprio dal periodo in cui bambina, era cresciuta con l’idea di lavorare come astronauta. Racconta: «Mi piaceva la fantascienza, Star Treck, viaggiare nello spazio ma non sapevo cosa significasse svolgere questo lavoro. A scuola mi piacevano tutte le materie: filosofia, storia, letteratura e mi sono accorta di avere una preferenza per quelle scientifiche. All’Università ero indecisa tra Fisica e Ingegneria. La storia che non fossero considerati lavori da “donna” in realtà non la sapevo. Avendo vissuto in un paesino di montagna, queste “notizie” non mi sono mai arrivate (ride) Me ne sono accorta dopo, una volta entrata in Ingegneria, notando quante poche donne frequentavano la facoltà. Per me non è stato mai un problema.
Ho anche inserito elementi di internazionalità frequentando l’Università in Germania, ho trascorso un certo periodo in Francia fino a completare l’ultimo anno in Russia. E in questo periodo ho maturato la passione per il volo sognando di diventare pilota. Solo che fino al 2000 in Italia nessuna donna poteva svolgere il militare.
Poi nel 1999 fu introdotta finalmente la legge ma avendo 22 anni superavo il limite dei 21 per l’ammissione. Ormai mi ero rassegnata ad abbandonare questo sogno quando per fortuna, una parte della legge prevedeva per i primi tre anni di applicazione, la possibilità di ammettere candidate che avevano superato i 21 anni. Ho così completato serenamente il mio anno universitario e poi mi sono presentata al concorso per entrare in Accademia. In pratica ho passato quell’anno tra Mosca, dove scrivevo la tesi in russo, e l’Italia dove mi preparavo ai vari esami concorsuali. Ripensandoci credo sia stata una pazzia frequentare l’Accademia. A un età dove in genere si entra a 18 anni io sono entrata a 24. Ma visto i risultati, posso dire si è trattata di una scelta azzeccata.»
L’occasione della vita
Samantha quindi ha realizzato il suo sogno di diventare pilota. È contenta, soddisfatta del suo lavoro ma c’è sempre quel sogno nel cassetto di diventare astronauta. Un sogno impossibile se si pensa che l’Agenzia Spaziale Europea emette il bando di ammissione circa ogni dieci anni.
Il Capitano racconta:«Si pensavo al sogno di diventare astronauta, ma non ne ero ossessionata. Non andavo ogni giorno a controllare se fosse uscito il bando. Ero assolutamente concentrata su quello che facevo in quel momento. Poi un amico aveva avuto il sentore che stesse per uscire. Era il mese di Novembre del 2007 e coincidenza uno dei titoli preferenziali era la conoscenza del russo. Mi avvisò immediatamente. Sono di quelle occasioni che ti capitano una sola volta nella vita e neanche. Se pensate che quando ho partecipato era il 2008 e ancora oggi non è ancora uscito quello nuovo. Forse accadrà nel 2021. Così ho scelto di abbandonare la carriera di pilota appena iniziata, per intraprendere quella di astronauta e realizzare il famoso sogno nel cassetto.»
La compilazione della domanda
All’interno del libro “Diario di un’apprendista astronauta” dove Samantha racconta tutto il suo percorso partendo dalle fasi iniziali, c’è una parte curiosa dedicata alla compilazione della domanda che merita attenzione perché da la misura reale di come sia difficile diventare astronauta. Solo in pochi al mondo possono godere di questo privilegio conquistato con lo studio e la dedizione.
Samantha racconta: «Si trattava di un questionario lunghissimo, circa 20 pagine, dove oltre le classiche informazioni di rito occorreva rispondere a domande aperte. Ad esempio: ” Come pensi che sia la vita da astronauta, come si svolge ” e altre cose di questo tipo. Oltre ovviamente a descrivere competenze ed esperienze acquisite restando attenta a non tralasciare nessun piccolo dettaglio che avrebbe potuto fare la differenza, ma allo stesso tempo senza esagerare per non sembrare eccessiva.
Il tempo per la compilazione era di quattro settimane e per un incredibile coincidenza in quel momento mi trovavo all’aereoporto militare di Amendola, vicino a Foggia, dove avevo appena cominciato un corso atteso da tempo. Un corso operativo per l’MX che è un aereo caccia militare monoposto. Giornate molto impegnative. Passavamo tra le 8 e le 10 ore al giorno in aula a studiare pile di manuali complessi perché sono macchine con sistemi articolati. Prima che ti permettano di sederti su uno di questi caccia, devi superare esami difficili. Non tutti riescono nonostante anni di addestramento con piloti esperti.
In pratica mi sono ritrovata a correre “due maratone” in parallelo. Da lunedì al venerdì studiavo, mentre i week end li passavo a compilare il questionario, confrontandomi con altre persone per ricevere feedback. Mi impegnavo a compilarlo al meglio possibile che io sapessi fare perché sapevo che ci sarebbero state tante candidature. Alla fine l’ESA ( l’Agenzia Spaziale Europea) ha ricevuto 8500 candidature valide, con certificato medico valido. Soltanto un migliaio sarebbe andato alla fase successiva. Mi sembrava quindi una fase dove ci fosse tanta casualità.
Era l’inizio ma la parte più difficile perché dovevo dimostrare dalla compilazione di meritare attenzione.
Tralaltro la prima parte di selezione era affidata a un computer che, attraverso un algoritmo, aveva il compito di selezionare 1500 domande valide. Solo quest’ultime sarebbero state lette da esseri umani. Adesso non so quanto la conoscenza del russo possa aver influito, però di fatto ero l’unica a conoscerlo tra i sei colleghi poi scelti.»
L’attenzione al dettaglio.
«Non pensate a noi astronauti come persone particolarmente eccezionali in qualcosa. Di certo ci saranno scienziati o ingegneri migliori di quelli che poi lo sono diventati. Ci sono persone che sanno molto meglio le lingue, altre che hanno tutte queste caratteristiche. Noi dobbiamo cavarcela in tutti questi aspetti dobbiamo avere una cura al dettaglio quasi maniacale. Ecco perché ho compilato il questionario prestando cura a ogni singola parola, limando le informazioni. Alla fine siamo stati scelti in sei e io ero l’unica donna, e questo rispecchia un po’ anche la percentuale più bassa di candidature femminili.»
È il 23 Novembre 2014. Sono le 22.01 quando, alla base spaziale russa di Bajkonur nel territorio del Kazakistan insieme ai motori dello Shuttle si accendono anche gli occhi di Samantha Cristoforetti consapevole che sta realizzando un sogno. La sua prima missione si chiama Futura e tra le diverse attività, si occuperà di completare alcuni esperimenti scientifici selezionati dall’Agenzia Spaziale Italiana. Tra questi merita una citazione un progetto che mi sta particolarmente a cuore e si chiama: “Nanoparticles and Osteoporosis” (NATO) della Prof.ssa Livia Visai (Università di Pavia). Il progetto utilizza un approccio nanotecnologico focalizzato a scoprire terapie innovative per curare malattie che colpiscono in misura preminente le donne: come il tumore al seno e l’osteoporosi.
Il salto nello spazio
«Lo spazio è un’esperienza particolare per diversi motivi. Per l’ambiente in cui ti trovi a operare, perché è l’unico posto dove la mattina quando ti lavi i denti hai un panorama unico con la terra che ti scorre davanti agli occhi, le aurore, i tramonti, il cielo stellato senza problemi di copertura o inquinamento luminoso.
Per il fatto che fluttui. Mi piace molto. Presenta anche le sue difficoltà pratiche e tecniche ma io l’ho vissuta come fossi ogni giorno al Luna Park. E poi anche per il tipo di lavoro. La sfida intellettuale mi piace ma vorrei trovare un equilibrio con la manualità, e qui ne avevo l’opportunità. Mi svegliavo la mattina, prendevo la mia cassetta degli attrezzi, leggevo i compiti che mi erano stati assegnati e via andavi a lavorare di “chiave inglese”. Uno dei vantaggi che rimpiango è l’organizzazione della giornata. In un certo senso è una vita facile, da questo punto di vista. Le difficoltà tecniche restano ma veniamo addestrati molto bene. Anche fin troppo alle volte. Ma svegliarsi al mattino, sapendo che qualcun’altro per te ha già organizzato l’agenda elettronica, sai dove devi essere, cosa devi fare, la lista degli attrezzi che ti servono, la procedura da applicare. Tutto molto pianificato e rilassante.
Quando torni sulla terra… è tutto diverso. Ti devi riadattare. Poi l’astronauta, tra una missione e l’altra, deve trovarsi un lavoro, tenersi impegnato prima che ti venga assegnata la prossima missione. È inutile continuare l’addestramento perché diventerebbe ripetitivo.»
Il rientro sulla terra.
A questo punto, il moderatore della conferenza chiede a Samantha come sia stato il rientro sulla terra con questa improvvisa popolarità che l’ha trasformata in un personaggio pubblico. Nello specifico, dal punto di vista psicologico, che impatto ha avuto e le sensazioni provate nello spazio:
«È stata la parte più difficile. Lo è tutt’oggi, dovendo gestire i tanti inviti che mi arrivano. Ad esempio sono qui in occasione di questo evento e spero di dare il mio contributo alla causa, di essere fonte di ispirazione condividendo la mia storia. Penso sia una cosa positiva. Dall’altra c’è un mondo un po’ “pop” con la persona che ti corre dietro per un selfie e magari non sa nemmeno chi sei ma ti ha visto in televisione e le fa piacere avere una foto. Con questo mondo qui ho qualche difficoltà in più. Nessuno sceglie di diventare astronauta per diventare un personaggio “pop”.
Per quanto riguarda le sensazioni nello spazio è difficile scegliere un pensiero, una sensazione o un’ emozione particolare. È stata un’esperienza lunga, complessa ed è per questo che alla fine ho accettato l’idea di scrivere un libro. Idea non mia, mi è stata proposta. Ero molto scettica. Se avessi saputo quanta fatica è stata, avrei detto di no. Con grande ingenuità mi sono buttata in questa cosa perché secondo me la testimonianza di un’esperienza così articolata doveva essere fatta per intera. Io non sono capace di sintetizzare. Magari sarebbe stato possibile. Non lo so.»
Una nuova esperienza… diventare mamma
«Nella vita professionale non è cambiato nulla. Continuo a essere molto presente nel lavoro. Se c’è un genitore primario a casa nostra di certo è il papà che è più presente di quanto lo sia io. Mi permette di continuare la mia carriera. Qualcosa è cambiato all’esterno. Io non ho mai voluto parlare della mia maternità. Non l’avevo resa pubblica, poi è uscita la notizia e si è parlato molto di questo evento. Così sono cominciati ad arrivarmi altri inviti pubblici, la maggior parte dei quali devi necessariamente declinare per impegni lavorativi oggettivi. Però alle volte è difficile giudicare quali accettare. Di sicuro quello che abbia per me un impatto positivo e utile per le persone. Poi però cominciavo a ricevere inviti a cui era facilissimo rispondere di no perché scorrevi la email e a un certo punto leggevi: “Vorremmo invitare l’astro-mamma Samantha Cristoferetti…”. Basta, lì non andavo più avanti, declinavo direttamente. Fortuna è durata poco ma c’è stata una fase di un paio di mesi, in cui sembrava che la mia identità fosse diventata solo quella.»
La capacità di sognare
Ritornando al sogno, essere capaci di sognare è una qualità spesso sottovalutata e imprigionata in credenze sociali e culturali che ne impediscono la realizzazione. Per questo motivo porto sempre come esempio la storia di Samantha Cristoforetti. Premesso che tutti i sogni in quanto tali meritano rispetto e sono soggettivi, per quanto il tuo sia impossibile e astratto, non può essere mai paragonato a quello di diventare astronauta. Ma il suo racconto sembra smentire…la tesi di coloro che considerano i propri sogni irrealizzabili. A tal proposito il capitano risponde così:
«Credo che il più grande regalo che possiamo fare ai nostri figli e alle nostre figlie, sia quello di stimolarli il più possibile, esporli a più cose possibili quando sono piccoli perché una di queste cose può diventare quello che accende la scintilla del sogno.
Avere un sogno non è tanto importante se ci arrivi o no. Quante persone in Europa della mia generazione volevano fare gli astronauti. Quante avevano o hanno il talento. Quante ci hanno lavorato assiduamente come ho fatto io ma poi siamo diventati astronauti soltanto in sei. Credo però che tutte queste persone abbiano avuto questo sogno importante e sono sicura che gli sono grate indipendentemente dal fatto di averlo raggiunto o meno.
Se hai un sogno questo in qualche modo ti motiva, ti sprona a dare di più. Altrimenti cos’è che ti motiva?I consigli dovrebbero essere individuali, ma se dovessi darne uno generico ai ragazzi direi: Mettetevi in difficoltà se nella vita è tutto troppo facile.
Se tutto è facile e nulla è difficile probabilmente state facendo qualcosa di sbagliato, perché non state crescendo. Le difficoltà, non eccessive per amor del cielo, servono. Occorre stimolarsi e sfidarsi. Avere un sogno è qualcosa che ti spinge a cercare strade più in salita, più incerte. Ogni situazione è diversa ma quando siamo giovani, se falliamo, se qualcosa non va bene non importa, possiamo permetterci di rischiare. Tra le mie tante fortune, mi considero molto fortunata ad aver avuto fin da piccola questo sogno e gli sono infinitamente grata. Se ci impediamo di sognare, ci impediamo di migliorare.
Se non avessi fatto l’astronauta avrei fatto la pilota militare che mi piaceva tanto. Prima ancora, se non avessi potuto fare il pilota, mi sarei buttata sulla ricerca tecnologica per progettare delle cose.»
A questo punto una bambina le chiede: Come ti sei sentita quando si sono accesi i motori?
Samantha risponde: «Mi sono sentita felice. È stato un momento di grande serenità, di pace. La conclusione di un percorso molto lungo, un’esperienza tanto attesa. Mi sono sentita in pace con l’Universo.»
Mentre Samantha parla del sogno, io sto lottando contro me stessa se alzare oppure no la mano… per fare una domanda. Attenzione! non è che per la professione che svolgo ogni situazione è uguale. Quando c’è un sogno in corso entrano in gioco mille emozioni, paure, che faranno parte sempre del genere umano finché vivremo su questa terra. La differenza sta, rispetto al passato, che me le gestisco in modo più veloce. Accade tutto in una frazione di secondo ma per me è sembrata un’eternità. La forza della paura tratteneva il mio braccio. Un’altra si opponeva con una vocina interiore che suggeriva di buttarsi. E poi, non so neanche come, forse il mio inconscio che ne sa più di me, fa scattare il mio braccio come una molla. «Ecco lo sapevo. Mi sono messa da sola in difficoltà è ora che faccio?». La hostess con il microfono viene verso di me con passo veloce. Come un computer, analizzo le miglia di domande che vorrei farle. Alle fine mi chiedo se c’è un limite ai sogni. Cioè, ha sognato la luna e anche se da un oblò ci è riuscita. Cosa potrebbe desiderare di più? Chissà se c’è ancora un margine per sognare in grande. Allora emozionata prendo il microfono, mi presento e le chiedo:
Ciao Samantha mi chiamo Aurora e vorrei chiederti: qual è il tuo prossimo sogno?
Il capitano ci pensa un attimo e poi risponde: «Il mio prossimo sogno… allora aldilà dello spazio, mi piacerebbe fare una passeggiata spaziale, l’attività che mi è mancata nella precedente missione. Se poi proprio dovessi sognare in grande, chi lo sa, se deciderò di continuare a fare l’astronauta un giorno il sogno potrebbe essere una missione verso la luna.»
Perché un’astronauta donna!
A questo punto in sala una ragazza fa una domanda interessante sugli stereotipi femminili secondo i quali in genere una donna non è ritenuta all’altezza, adatta a svolgere lavori storicamente eseguiti dagli uomini.
Domanda:«Siccome sono entrata da poco nel mondo del lavoro nel settore informatico, un mondo prettamente maschile, mi è stato detto perché una donna informatica, programmatrice e a questa domanda non ho saputo rispondere, ti chiedo se per caso ti è capitato di ricevere domande simili, perché un’astronauta o ingegnere donna»
Samantha risponde: «Adesso non ricordo episodi particolari. È probabile che mia successo. Ma sono cose che non mi sono rimaste particolarmente impresse. Il mio consiglio è di non darci troppa importanza. Le cose vanno giudicate da dove vengono. Chi fa una domanda del genere non dice qualcosa a te. Dice qualcosa di lui o lei. Sono suoi trip mentali. Ma non gli dare tanto peso.»
Diciamoci la verità. Questa è una mentalità radicata in qualsiasi settore compreso lo sport. Fa parte della cultura “mondiale” partire dal presupposto che una donna sia ritenuta intellettualmente e fisicamente inferiore all’uomo. Oggettivamente per ragioni biologiche il fisico dell’uomo è superiore. Ma ci sono storie che dimostrano come la donna riesce a compensare questa differenza con la parte intellettuale.
Ad esempio nello sport ci sono tanti casi che confermano questa tesi. Fra tutti scelgo di citare storia del Setterosa, la nazionale italiana di pallanuoto oro olimpico ad Atene 2004, perché la pallanuoto viene considerata la disciplina più faticosa dal punto di vista fisico. In uno sport per tradizione maschile, come la facoltà di Ingegneria, le donne hanno dimostrato in dieci anni di riuscire a raggiungere risultati di alto livello vincendo tutto ( 2 mondiali, 4 europei e un olimpiade). Pur essendo fisicamente inferiori rispetto alle loro quotate avversarie, ci sono riuscite sfruttando l’intelligenza agonistica. Vincere così tanto, ripetersi in uno spazio di tempo così breve, non è facile. Neanche gli uomini ci sono riusciti.
Quando la conferenza si conclude ho già pronto il libro da far firmare e scatto in perfetto stile Usain Boilt verso l’uscita del palco. Prima che vada via. Questa è un’altra fase del sogno che amo. Riuscire a scambiare anche solo qualche parola con Samantha. Dietro di me c’è già una fila lunga. Capisco che purtroppo non posso andare oltre.
Ma sono già felice così. Ho realizzato il mio sogno ottenendo il massimo che ho potuto in quella circostanza.
Epilogo
Siamo fatti della materia di cui son fatti i sogni; e nello spazio e nel tempo d’un sogno è racchiusa la nostra breve vita.
William Shakespeare (La tempesta)
Hai ancora il tuo bel foglio con scritto il sogno che hai realizzato? Quante analogie hai riscontrato con la storia di Samantha? Cambia il contesto, ma difficoltà, fortuna, casualità, coincidenze, passione, studio e altro ancora fanno parte di un processo che tu conosci già.
Allora quale forza ti trattiene dall’aprire quel dannato cassetto dove i tuoi sogni stanno facendo la muffa? La paura di fallire? Ce l’abbiamo tutti. Ti ripeto. Fa parte del pacchetto all inclusive con cui dovrai fare i conti ogni volta che vorrai metterti in gioco… per il resto della tua vita.
Samantha sognava di diventare astronauta. Ma se non ci fosse riuscita, la “luna” le aveva comunque disegnato il percorso da seguire. Quindi il sogno è fondamentale per darti una direzione. Lascia stare quanto sia assurdo, impossibile da realizzare. Ti sta suggerendo quale strada intraprendere. Le azioni da compiere, gli studi da effettuare. È inutile che soffochi le tue passioni. Tanto prima o poi esplodono e ti ribussano alla porta perché vogliono essere seguite.
Adesso, per completare questo esercizio, riprendiamo questo foglio e ti invito a seguire i seguenti passi:
- 1 Inizia a scrivere almeno 10 sogni da realizzare. E sono buona perché ne dovresti scrivere almeno 101 :-). Anche cose del tipo: Stringere la mano a Ronaldo come io ho messo in lista incontrare Samantha Cristoforetti.
- 2. Scegli quello a cui dare priorità. ( Sogno astratto…mentale )
- 3. Adesso occorre entrare in azione con il CORPO e fare un elenco delle azioni da intraprendere per raggiungerlo
- 4. Dipende dal sogno ci vorranno giorni, mesi, probabilmente anni. Non importa. Lui sarà la tua stella cometa. Colui che nel dubbio, quando nella vita non saprai più cosa fare, ti indicherà la strada giusta. L’importante è non esserne ossessionati.
Sogna in grande. Sogna la Luna. Male che vada… raggiungerai le stelle!
buon allenamento mentale
Aurora
(foto Aurora Puccio. Foto della Luna di GuidoPV. Foto Setterosa Claudio Scaccini. Altre immagini tratta da google)
Leave a Reply